venerdì 8 giugno 2018

La Torre di Pisa, vestita a festa

Il “giugno pisano” è un mese ricco di appuntamenti. La città ritrova le sue tradizioni intorno al simbolo che la rende famosa nel mondo

(ap *) La torre più famosa al mondo, vestita a festa e piena di luce nelle chiare ore notturne, regala, durante il giugno pisano, suggestioni sconosciute ai passanti che, percorrendo silenziosamente le strette vie laterali, di colpo s’imbattono nella maestosa costruzione all’interno del Campo dei Miracoli, la piazza che le offre una singolare sistemazione urbanistica. Il paesaggio della città, la sua storia, il patrimonio d’arte che racchiude sono indissolubilmente legati a questa costruzione e alla piazza, dichiarati “patrimonio dell’umanità”.
Non delude mai le attese la Luminara, come in vernacolo viene definita la festa popolare di metà giugno in coincidenza con la ricorrenza di San Ranieri, il patrono della città. Almeno 100.000 persone, molti gli stranieri, affollano le strade e soprattutto i lungarni, pieni di bancarelle, venditori ambulanti, ma anche artisti di strada, per godere di un panorama unico al mondo, i palazzi storici che si affacciano sull’Arno, addobbati con i tradizionali lumini di cera.
Sistemati nei giorni precedenti alle finestre in modo da creare cornici di luce di forma differente, vengono accesi di pomeriggio, ma è quando cala il sole che inizia la magia delle facciate che si illuminano, del fiume che diventa fosforescente, di una città a lume di candela. Sino al culmine, verso mezzanotte, al momento dei fuochi d’artificio, ben visibili ovunque, sparati da 16 chiatte disposte nella zona della Cittadella, la più a valle della città, dove dall’epoca romana si trovavano il porto e l’accesso al mare.
La città ritrova identità, vivacità culturale, contatto con i quartieri anche per via dei tanti volontari che partecipano all’organizzazione degli eventi durante tutto il mese di giugno, ricco di spettacoli, incontri, ricostruzioni storiche, mostre.
Il Danteprima, festival dedicato al sommo poeta con rivisitazioni teatrali delle cantiche, letture che esaltano il confronto tra i grandi personaggi del poema e le icone pubbliche del Novecento (Giulio Andreotti, Pier Paolo Pasolini, Marylin Monroe, Andy Warhol), passeggiate alla scoperta di angoli danteschi della città, incontri con la poesia contemporanea (da Maurizio Cucchi a Valerio Magrelli, a Vivian Lamarque).
Le Notti dei Cavalieri, 30 appuntamenti per vivere la sua piazza dei Cavalieri, su cui affacciano la Scuola Normale Superiore e il Palazzo dell’Orologio, torre della fame dove nel 1289 morì il Conte Ugolino della Gherardesca, senza gli eccessi della movida notturna che di solito attraversa quella zona della città
Ancora, la Regata delle Repubbliche marinare con la partecipazione del Galeone rosso in rappresentanza della città, e tante mostre: Michelangelo Pistoletto, alla Chiesa della Spina; Il viaggio di Marco Polo nelle fotografie di Michael Yamashita, a Palazzo Blu.
Sino al conclusivo Gioco del Ponte, a fine mese, in cui la città è divisa tra le tifoserie di Mezzogiorno e Tramontana, impegnate a sostenere gli sforzi dei propri atleti intenti a vincere la resistenza degli avversari spingendo, dall’altra parte del “ponte di mezzo”, un pesante carrello di legno.
Un dialogo costante tra arte, poesia, danza e musica di ogni epoca, un percorso dall’antichità al mondo moderno delle realtà virtuali e delle installazioni avveniristiche, pretesti tutti per rendere metaforico il viaggio attraverso tempi tanto diversi.
Presenze rumorose e fluttuanti animano le stradine e i vicoli del centro storico, poi non mancano di sciamare lentamente verso la piazza antica circondata da mura medievali, il Campo dei Miracoli con la sua torre illuminata a festa, un’atmosfera d’altri tempi, immobile e rilassata, ma anche sorprendente per la magia di quell’inclinazione pericolosa che continua a suscitare la curiosità di tanti, e a sfidare le leggi della fisica.
La torre di Pisa, realizzata tra il XII e il XIV secolo, manifestò, fin dall’inizio della sua edificazione, quella singolare pendenza che l’ha resa ancor più celebre nel mondo. Posta su un terreno argilloso e sabbioso, si inclinò durante la costruzione del terzo piano, tanto che si dovettero sospendere i lavori, costruendo poi i piani successivi con una curvatura in senso opposto alla pendenza, fino al suo completamento, con la realizzazione della cella campanaria, riuscendo a mantenerla in equilibrio perché la verticale che passa per il baricentro cade all’interno della base di appoggio. Da allora, divenne “la torre che pende, che pende, e mai viene giù”, secondo il classico motivetto canoro pisano.
I suoi otto piani, sino a 56 metri di altezza, sono circondati, secondo lo stile proprio dell’architettura pisana, da logge con archi a tutto sesto che riprendono il motivo della facciata della cattedrale. La torre ne costituisce infatti il campanile, ma è collocata insolitamente in posizione defilata e separata dal corpo dell’edificio, e costituisce una sorta di perno visivo della piazza e della città, al centro dell’antico asse viario della via Santa Maria.
Le tre rampe interne di accesso all’ultimo piano circondato da una balaustra di ferro offrono l’imperdibile sensazione di una salita in pendenza continua, sotto l’attrazione crescente della forza di gravità che raggiunge il suo culmine nella parte mediana del tragitto. Il corpo, sospinto magicamente verso l’esterno, è esposto all’insicurezza e all’instabilità, ma poi è provvidamente richiamato verso il centro quando si raggiunge la parte opposta delle scale.
In cima alla torre, sull’anello superiore, pur esso inclinato da un lato, il senso di sperdimento e di insicurezza è attutito dalla visione, nel grande prato verde che la circonda, delle migliaia di bracce sollevate in alto con cui i turisti di ogni parte del mondo non cessano di sostenere ogni giorno la torre, almeno per un attimo, sul lato pendente, conservandone poi, felici come bambini, un’immagine fotografica.
Le sette grandi campane, che vi furono collocate nel tempo, suonavano in occasione di particolari eventi liturgici ed una di esse, la San Ranieri, era chiamata originariamente “Giustizia” perché si trovava nell’omonimo palazzo e veniva impiegata per avvisare gli abitanti della morte dei traditori.
Tra mito e realtà, viene da immaginare che rintocchi profondi e lunghi di questa campana dovettero scuotere l’intera città per annunciare la morte del Conte Ugolino, la cui tragica fine, raccontata da Dante nel XXXIII canto dell’Inferno ("Poscia che fummo al quarto dì venuti..”), non gli evitò di essere iscritto nel terribile cerchio dei traditori.
Una volta giunti nel punto più alto, dove maggiore sono l’inclinazione e la forza attrattiva della terra sottostante, appare sorprendente che questo luogo possa essere legato, secondo la leggenda, al nome di Galileo Galilei, che lo avrebbe utilizzato per l’esperimento della caduta dei gravi, con il quale, gettando dall’alto contemporaneamente una palla di ferro ed una di legno, dimostrò, diversamente dai principi della fisica aristotelica, che oggetti di peso diverso cadono sempre alla stessa velocità. Inducendolo a concludere: “vi assicuro che una palla di artiglieria, che pesi cento, e anco più libbre, non anticiperà d'un palmo solamente l'arrivo in terra della palla d'un moschetto, che ne pesi una mezza”.
Esperimento reale o dispetto per l’incredulità popolare? Suggestione che si tramanda nel tempo, tra scienza e fantasia? Il mistero della leggenda non è minore di quello che comunque accompagna la storia della costruzione della torre e della sua stupefacente inclinazione, che lascia sempre senza fiato.


* Leggi anche su La Voce di New York:

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