di Marina Zinzani
“Trattenere la rabbia e il rancore è come tenere in mano un carbone ardente: sei tu quello che viene bruciato.” (Buddha)
È difficile immaginare una vita senza rancori. C’è sempre un torto subito, una aspettativa delusa, un’incomprensione che non si sa bene quando è nata, perché.
Ma il rancore non ha mai costruito ponti, fatto fiorire prati, reso le persone aperte al dialogo e a trovare una via d’uscita.
E così si può assistere alla fine di qualcosa, un amore, un’amicizia, un rapporto professionale, e non riuscire a superarlo, a pensare che la vita è un insieme di porte che si aprono e si chiudono, di periodi, anche lunghi, lunghissimi, condivisi, ed altri in cui si riprende il cammino da soli o con altre persone.
Si sa che il rancore fa male a chi lo prova, e che l’altro spesso poco sa della sofferenza che ha provocato. Però evitare l’allargamento di questo sentimento, farlo rendere protagonista di atti, di scelte, di atteggiamenti, significa non riuscire a connettersi con una grande dote: l’intelligenza. Il rancore per la fine di un amore può incidere sui figli, per la fine di un’amicizia può portare a definire l’altro in modo negativo, in tutti i rapporti il rancore porta veleno.
Guardare oltre, sarebbe questa la soluzione. Per il bene di tutti, prima di tutto di sé stessi.
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