domenica 3 settembre 2017

Oggetti d'arte

Macchine, idee, persone: raccontare esperienze di vita

di Mariagrazia Passamano *
(Intervento di Angelo Perrone)

Nelle “Lettere al dottor G.” e nel “Diario di una diversa”, Alda Merini racconta che nel profondo dell’inferno uno spiraglio di ritrovata umanità fu la psicoterapia condotta all’interno del manicomio con il dottor G., il quale comprese che il modo più incisivo per aiutare la sua paziente potesse essere quello di indurla a scrivere ancora, infatti mise a sua disposizione una macchina da scrivere, convinto che la poesia potesse salvarla e così fu.
La macchina da scrivere come simbolo di vita, di strumento di ritorno a se stessa e alla sua vocazione; come ausilio del suo fervore e mezzo di libertà. La poesia come salvezza, come terapia, come unica soluzione per non cedere di fronte a quella condizione di disumanizzazione. La cura del desiderio è l’antidoto contro la malattia. È l’unico farmaco che ci può guarire e che ci tiene lontani dai giochi insolenti, insidiosi e pericolosi della nostra mente. Thanatos è assenza di desiderio, sinonimo di una vita che non diviene mai reale.
Non c’è niente che faccia più male dell’osservare le persone lontane da se stesse e perse in salti acrobatici inutili. Non ferisce tanto il non amore, la cattiveria, la mancanza di buon senso, ma la costatazione dell’assenza del desiderio.
Ci piacerebbe sempre poter essere un po’ come la figura del Dott. G. e fornire alle persone che incontriamo e che ci stanno a cuore quella macchina da scrivere per risalire dagli inferi e per continuare a sognare.
(ap) Tasti scuri, rumorosi e resistenti alla pressione delle dita, fogli di carta animati dall’ingranaggio metallico del rullo, una presenza ingombrante e tuttavia così fascinosa sulla scrivania di altri tempi: la macchina da scrivere richiama un’altra estetica ed una ben diversa funzionalità rispetto ai moderni computer.
Lo sguardo, rivolto a quel rullo che attende paziente di essere girato, è sempre fisso e perplesso, come oggi quello verso lo schermo, mentre è alla ricerca del pensiero da esprimere, e alla sua forma più compiuta. La carta però rende tutto più complicato: quando si usa la macchina da scrivere è meglio trovare fin dall’inizio frasi già appaganti e definitive, che non richiedano troppe correzioni o aggiustamenti. In mancanza dei tasti salvifici di delete o di copia-incolla, le cancellazioni sono manuali, macchiano il foglio, ci rammentano visivamente il panico delle idee.
Una gestualità più articolata e complessa di quella usata davanti ai computer, finalizzata però a realizzare lo stesso obiettivo finale: fare scrittura. E a inseguire il medesimo sogno: galoppare verso l’ignoto. La parola non tollera di essere trattenuta troppo a lungo, né tanto meno mutilata: affiora spontanea e immediata, come da fresca sorgente in altura, esce allo scoperto percorrendo sentieri che non sappiamo prevedere, diventa talvolta cantore di istanti di felicità, o di struggenti dolori; dell’effimero e dell’eterno sfuggente.
L’immaginazione non permette di dormire quieti, risveglia e alimenta corpo e mente, rende audaci e sfrontati, fa vincere la paura di essere respinti, e di rimanerne delusi. Si è mossi da necessità, da interesse, o soltanto da sete di conoscere. Ma è l’amore racchiuso nel cuore esitante che esige di diventare pagina scritta, traccia esile dell’esistenza, prima di disperdersi nell’aria.
Quasi ospite inatteso, è una voce che risuona all’infinito quel desiderio di intrecciare tra loro delle parole, perché ne nasca un segno, si crei una forma, risuoni da qualche parte l’eco di ciò che si è scoperto ed ammirato, aiutando altri, in un patto un po’ folle tra chi scrive e chi legge, a comprendere la bellezza incontrata almeno una volta nella vita, e a intraprendere una veloce corsa verso l’ignoto.
E’ fatale quel legame, impastato di singolare empatia, tra la macchina da scrivere e la passione di raccontare; tra lo strumento scelto per esprimere quel sentimento, oggi un prodigio tecnologico, e l’intuizione magica che un giorno ci ha sorpresi, accasandosi presso di noi come viandante in cammino perenne, dopo che abbiamo dischiuso fugacemente la porta. A dispetto di ogni timore, i nostri pensieri abitano finalmente un’atmosfera rassicurante e incantata, e scopriamo con sorpresa di trovarci in un luogo che ci è familiare.
E’ il nostro rifugio segreto, con la comoda poltrona accanto alla finestra che dà sul viale, il cibo gustato durante un momento felice, in sottofondo la musica che ci appassionava da ragazzi. Dove, poco prima, abbiamo accolto, in una giornata burrascosa di pioggia, un cagnolino impaurito che si era smarrito per le strade della città.

* Scrive sul blog Invent(r)arsi:

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