martedì 19 settembre 2017

Tra le pietre antiche di Zuradili


Racconto di Vespina Fortuna

Qualche anno fa, in Sardegna, mi recai ai piedi del Monte Arci, dove un tempo sorgeva un piccolo villaggio chiamato Zuradili, di cui si hanno notizie certe dai documenti della Curia di Oristano. Intorno all’anno 1656 Zuradili contava circa 700 abitanti, come risulta dal calcolo delle tasse pagate in quel periodo, ma un’epidemia di febbre malarica ne uccise 70. 
Poiché ogni tentativo di bloccare la malattia fallì, il sindaco chiese ed ottenne dal viceré dell’isola, l’autorizzazione a trasferire i superstiti di Zuradili nella vicina borgata di Marrubiu.


Camminando fra gli antichi resti di quella cittadina fantasma, fatta di pietre e ruderi ricoperti di erbacce e sterpi, inciampai su un sasso. Avevo scarpe di tela leggera e il dolore mi obbligò a chinarmi per massaggiarmi il piede. Cercai di capire quale fosse stata la pietra che mi avesse ferito, come se scoprendo la colpevole potessi star meglio e mi accorsi che, sbattendo, l’avevo sollevata e adesso dondolava. Per evitare che anche altri incorressero nel mio stesso problema, la estrassi completamente dal terreno e scoprii che sotto non c’era terra, ma una tavola di legno ormai fradicia. Mi guardai intorno e, trovato un sasso appuntito, scavai finché non venne via, spezzandosi in più parti. Ben presto mi accorsi che non si trattava di una semplice asse, bensì di un contenitore di legno che a sua volta proteggeva un altro contenitore di latta.


All’interno c’era un quaderno con la foderina nera e le pagine ingiallite, appiccicate dall’umidità. Qualcuno aveva voluto raccontare la sua storia e donarla a chi l’avesse trovata. La fortunata ero stata io e per niente al mondo mi sarei sognata di lasciarla là. Presi il quaderno fra le mani come si tiene il tesoro più prezioso al mondo, lo infilai nello zaino e tornai a casa. Lasciai che si asciugasse e, con una pazienza infinita che non so dove abbia preso, iniziai a trascrivere quel che di buono era rimasto. Non era un semplice quaderno, era un diario, il diario segreto di Maddalena.

Il diario di Maddalena

Zuradili, 16 agosto 1659
Io qui ci sono nata e ci vorrei restare fino a vedere i miei figli crescere e con loro, i figli dei miei figli. Io qui ci vorrei restare anche dopo, nel nostro piccolo cimitero, vicino a mia nonna, mio fratello e mio padre, ma le cose si mettono male. Pare che Dio si sia accanito su Zuradili, questo minuscolo villaggio sconosciuto al resto del mondo. Un buco di posto che conta a malapena settecento anime, povera gente, perlopiù pastori, agricoltori e carbonai. Qui non ci sono briganti né cattive persone, perché Deu meu  l’hai presa con noialtri?

Zuradili, 2 settembre 1659
Gira voce che la malattia che ha colpito le prime case, ai piedi del monte Arci, non sia semplice febbre, ma qualcosa di più grave. Si teme un’epidemia, è per questo che vogliono farci fare fagotto e lasciare case e ricordi. Ma come possiamo andarcene da qua? Qui siamo nati. In questo posto ci siamo figurati il futuro e qui abbiamo terra e lavoro. Don Michele, il prete, che sa leggere bene e spedito, l’ha detto chiaramente: “Prepariamoci a partire, questa lettera parla chiaro, dobbiamo allontanarci alla svelta”. Oh, poveri noi! Pare che ci sfollino a Marrubiu.


Zuradili, 10 ottobre 1659
Ormai è certo. Gli ammalati sono una settantina, non si può aspettare oltre. Oggi si preparano carri e bagagli e si ricomincia l’esistenza a Marrubiu.

Marrubiu, 22 ottobre 1659
Questo posto è brutto, sporco e infestato dai banditi. Il viceré ha ordinato di bruciare il bosco di S. Anna, dove si rifugiano i briganti per stanarli e magari bruciarli vivi. Mi faccio il segno della croce  e mi pizzico il braccio con la speranza di sapere che sia solo un brutto sogno e che questo inferno, al mio risveglio, finisca.

Marrubiu, 20 luglio 1660
E’ passato quasi un anno, ma Dio non si è dimenticato ancora di noi. Adesso che i briganti se ne sono andati, che la febbre contagiosa è rimasta a Zuradili e che finalmente cominciavamo a stare un po’ tranquilli, sono arrivate le cavallette a tormentarci. Il comune ha detto che non dovremo pagare le tasse per due anni, che ricompenseranno con una lira chi raccoglie un cantaro di cavallette e le porta per sotterrarle in una grande fossa costruita proprio per loro.

Marrubiu, 1 agosto 1660
Qui a Marrubiu non siamo benvisti noi di Zuradili, dicono che siamo maledetti da Dio e non portiamo che miseria e flagelli. Ma che colpa ne abbiamo noi? Se non piove, arrivano le malattie e le cavallette, si sa. Lo dice pure Don Michele, che ha studiato nelle scuole dei preti e conosce pure il latino e  la medicina. Ma vallo a spiegare a questi ignoranti. Si stava tanto bene a Zuradili, se solo Dio non ci avesse mandato la febbre malarica.


Marrubiu 17 novembre 1660
Dopo tanto tempo, ancora non me lo levo dalla mente che ho cambiato paese. Ieri è nato mio fratello Tore e quando sono andata al comune a dichiarare la sua nascita, ho detto che era nato a Zuradili. L’impiegato mi ha guardata un po’ di traverso, si vede che pure lui pensa che siamo maledetti e, senza domandarmi altro ha scritto “nato a Marrubiu”. Povero Tore, nato a Marrubiu, nemmeno all’anagrafe sarà di Zuradili!

Marrubiu, 2 novembre 1673
Ieri sono tornata a Zuradili. Ho portato mio figlio e mio marito a mostrare dove sono nata. Non c’è più Zuradili. Ci sono solo rovine e case abbandonate coi tetti sfondati e finestre dai vetri rotti. Mio marito mi ha stretto a sé vedendo una lacrima che mi scendeva sul viso, il piccolo Marieddu, invece, si è divertito a correre su quelle macerie che mi facevano sanguinare il cuore. Siamo tornati indietro mesti, ma non abbiamo detto a nessuno dove eravamo stati, per non intristire anche gli altri.
Quando mi sono coricata e sono rimasta finalmente sola coi miei pensieri e gli occhi chiusi, ho ripensato al mio paese com’era, ma il ricordo si è confuso con le case diroccate di adesso. Sono nata a Zuradili, un paese che non esiste più, che non è più segnato neanche nelle carte geografiche. Un giorno lo racconterò a Marieddu, gli racconterò che sua madre è nata in un posto che esiste solo nella fantasia, come quello delle fate. Sì, questo gli dirò, che lui è figlio della fata di Zuradili e che se vorrà vedere quel posto incantato potrà farlo solo chiudendo gli occhi e sognandolo.

1 commento:

  1. Complimenti, molto bello il racconto e molto bella la scelta delle immagini che lo supportano.
    Lorenzo

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