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(Ansa) |
(Angelo Perrone) La liberazione degli ostaggi a Gaza è una tregua attesa, ma non la fine della tragedia.
Questo risultato, ottenuto con una violenza devastante, rivela un fallimento ancora più grave: l’abbandono del diritto internazionale come bussola per la convivenza.
La strada per una pace duratura non può prescindere dal rispetto dello Stato di diritto, eppure è proprio questo il punto critico della vicenda.
Israele ha imposto la sua supremazia con la forza, mirando a indebolire Hamas e i suoi alleati, ma anche a cancellare il sogno di due popoli in due Stati. Il prezzo è stato tragico: oltre 60.000 vittime a Gaza, l’isolamento internazionale e il risveglio di un antisemitismo globale. Ma il vero costo è la legittimità persa: quando si calpesta il diritto internazionale, si perde anche la possibilità di costruire una pace giusta.
Le pressioni esterne, come quelle di Trump su Netanyahu, mostrano che persino gli alleati più spregiudicati riconoscono che la misura è colma. Ma la domanda resta: è una preoccupazione per il diritto violato o solo un calcolo geopolitico?
La liberazione degli ostaggi, momento che dovrebbe invitare alla riflessione, diventa invece uno spettacolo mediatico. La gioia dei familiari, sacrosanta, viene strumentalizzata in un circo di potere che ruba dignità al dolore. È grottesco vedere come la tragedia si trasformi in una passerella per i potenti, mentre israeliani e palestinesi restano assenti dal palcoscenico.
La pace non può nascere dal massacro né dalla propaganda. Richiede il rispetto del diritto internazionale, la volontà di abbandonare la logica della forza e la pazienza della diplomazia. Finché si anteporrà il dominio allo Stato di diritto, la speranza di una coesistenza resterà solo un’illusione. Il diritto non è un optional: è l’unica base possibile per una pace vera.
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