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Solitudini: Davide

di Marina Zinzani

Davide, 60 anni, portiere di notte.
È una lunga notte, qui in albergo. Non è un lavoro faticoso, non posso lamentarmi.
Devo solo consegnare le chiavi a chi torna nella propria stanza, dopo avere fatto una passeggiata, mangiato in un ristorante, avere assistito a un evento.
Io sono quello che consegna la chiave della camera, abbozzando un sorriso ai clienti.
Spesso sono coppie di innamorati. Questa è una città in cui si viene in vacanza, anche per lavoro, certo, o per altri motivi, ma in effetti la città si presta bene a qualche giorno fra musei, bellezze del luogo, amenità varie. 
Io li vedo, i giovani che si amano, quelli che descriveva Prévert. Hanno una gioia particolare negli occhi, la leggerezza dei loro anni, l’entusiasmo per una delle prime vacanze assieme, e una complicità particolare. Una mano che sfiora quella dell’altro. Uno sguardo d’intesa. Richiedono la cartina della città condividendo in poco tempo la meta della prossima giornata, le chiese che visiteranno, i musei, comprendono tutto subito, dove andare, che strada fare. 
La notte è lunga, e io non devo perdermi in certi pensieri. Lo sai che è facile lasciarsi andare, mi dico in certi momenti, rimproverandomi. Io che divento il guardiano di me stesso, che paradosso.
Agnese mi ha lasciato, e io non ho ancora collocato questo file imprevisto, uno di quei file che chiude all’improvviso un computer o danneggia dei dati. In pratica un virus che fa danni irreversibili. Le chiamano separazioni in età matura, vai a capire.
A sessant’anni Agnese mi ha fatto un elenco di mie mancanze, una cosa buffa, sembrava la descrizione di un mostro con cui aveva vissuto 30 anni. Ha espresso la voglia di rinascere, di avere una nuova possibilità, una seconda vita, e quindi separazione, divorzio. Io buttato via così, come un oggetto venuto a noia.
Invidio le giovani coppie, invidio quel brio che hanno, qualcosa dalle parole inesprimibili, che avevo anch’io un tempo. Perché io e Agnese ci amavamo. Non abbiamo avuto due figli per caso, era il nostro progetto di famiglia, e sembravamo felici, io ero sereno, mi sentivo in pace, appagato dalla mia vita semplice e forse prevedibile, ma non mi mancava niente.
Perché pensi a queste cose adesso? Stare sempre da soli annienta, questo è il punto. Si guarda la vita degli altri. Si è spettatori e basta. Nessuno si preoccupa per te, e i figli sono lontani, presi dalla loro vita. Un pensiero, uno sguardo, un gesto gentile per me: questo mi manca.
Datti un contegno, smettila di pensare. Pensa a qualcos’altro. L’attualità è piena di spunti. Devo pensare ad altro, sì.
Ecco, l’americana sta rientrando. Ha la mia stessa età, è nata anche nel mio stesso mese, che coincidenza. Potrei dirglielo, ma passerei per inopportuno. Ha l’aria stanca, gli occhi sono tristi. Riconosco quello sguardo che parla di un vuoto.
Potrei provare a scambiare qualche parola, potrei parlare del tempo ad esempio, intanto che le consegno la chiave. Non vorrei essere completamente solo, in questa lunga notte. Anche lei forse ha una storia da raccontare.

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