sabato 5 ottobre 2024

Gufo

di Liana Monti

È già mezzanotte
Dormono gli umani
I suoni lontani
Il silenzio li inghiotte.
Sulla vetta della betulla
Veglia orgoglioso
Con fare maestoso
Il Gufo non teme nulla.
La luna che era velata
Da una nuvola sbiancata
Ora illumina la vallata.

venerdì 4 ottobre 2024

giovedì 3 ottobre 2024

Il tempo che ci vuole

di Marina Zinzani

È inevitabile, dopo aver visto “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini, pensare al proprio padre. Pensare alla protezione che si avvertiva quando si era bambini, alle piccole cose spesso sfiorate dalla poesia: un libro letto assieme, l’andare al cinema, il mondo svelato, raccontato, il padre che difende, che fa sentire al riparo, il padre che c’è. 
Quel riparo, con gli anni, si avverte meno. Perché si diventa grandi, adolescenti, ragazzi, e si vuole uscire dal nido, avvertendo il richiamo del mondo, degli altri. Gli altri che non sempre proteggono, anzi, spesso usano l’ingenuità, o la voglia di protesta, o il conflitto generazionale quasi inevitabile quando un figlio cresce, per portare su strade tortuose. Dove ci può essere una balena, in grado di inghiottire. Come era successo a Pinocchio.
Nel film, Francesca Comencini racconta il rapporto con il padre Luigi, partendo dalla sua infanzia, con i ricordi di quando lui girava “Pinocchio”, creando un mondo fatato e poetico. Un padre forte e sensibile, gentile e quando occorreva autorevole. Il mito di una bambina. Poi la Storia degli anni ’70 entra, entra nelle vite delle persone, e si arriva agli anni della contestazione, agli anni di piombo, sottolineati dalla strage di Piazza Fontana, dal sequestro Moro, dalle Brigate Rosse. E dalla droga, che dilaga e corrompe giovani vite. Tante saranno segnate per sempre.
Nel suo racconto autobiografico, Francesca Comencini si mette a nudo con coraggio, e ripercorre gli anni salienti della sua giovinezza, complicati e difficili, segnati dall’inquietudine e da una forte fragilità. Ma avrà sempre la vicinanza del padre, che non l’abbandonerà mai. Lui le dedicherà quel tempo che ci vuole, quel tempo necessario perché la burrasca passi, perché la balena restituisca sua figlia.
I due attori protagonisti, Fabrizio Gifuni e Romana Maggiori Vergano, con una grande recitazione, danno luogo alla rappresentazione intensa, sensibile, sofferente, poetica di un padre e di una figlia, del loro mondo intatto dell’infanzia, e del mondo lacerato dall’esterno degli anni di piombo. L’avere dedicato quel tempo per riportare la figlia alla vita diventa un atto di coraggio, intelligente, disperato anche, ma portatore, alla fine, di una rinascita. Forse per entrambi.
Il film è certamente un atto d’amore di Francesca Comencini verso il padre Luigi, è un insieme di ricordi che emozionano, coinvolgono, soprattutto nei momenti più drammatici della loro storia. È un atto d’amore verso i padri, che restano in silenzio, che osservano, che intervengono poco e con discrezione, che si sono sacrificati, che hanno insegnato ad andare in bicicletta, ad attraversare la strada, ad entrare in un negozio da soli, e alla fine, a 18 anni, anche a guidare una macchina. Tante cose conservate nei ricordi intimi di una persona. 
Sullo sfondo di questo film c’è tutta la magia del cinema, con il quale “si può scappare, con l’immaginazione”. Scappare attraverso una poesia che diventa universale, in cui si mescola il rimpianto, e quello che rimane, di così personale, che non andrà mai via.

mercoledì 2 ottobre 2024

Il problema Conte

(Riflessione più ampia su Critica liberale, 30.9.24)

(Angelo Perrone) Giuseppe Conte, ex Presidente del Consiglio e attuale leader del Movimento 5 Stelle, cerca di posizionarsi, in una congiuntura difficile, come leader politico capace di attrarre voti, consensi ed elettori. L’obiettivo è tornare al potere, chissà come, in una fase saldamente nelle mani della destra. Di sicuro, ad ogni costo, anche con chiunque, come in passato.
Fronteggia all’interno il suo ex mentore e quasi omonimo Giuseppe Grillo in una contesa impari (a suo favore: il richiamo del potere contro il fallimento del passato), gestisce le anime in pena del mondo grillino combattute tra la necessità di sopravvivere e i richiami movimentisti di un tempo. 
Mantiene un atteggiamento ambivalente con il Partito democratico per consolidare il suo controllo sul M5S e aumentare l’influenza politica. Tesse una tela complicata con gli interlocutori, fatta di avvicinamenti e critiche, concordia e improvvise virate. E guarda anche oltre. Ci sono strette di mano, bicchierate di birra davanti ai fotografi. Poi sdegnate prese di distanza, altezzose interviste per rimarcare diversità e contrapposizioni ideali, che è bizzarro rivendicare.
È la politica senza una visione, il potere fine a sé stesso. Il “campo largo” e l’unità delle opposizioni sono sempre più lontani, appartengono alla mitologia. I progetti varati, ovvero le intese per le elezioni regionali in Liguria, Umbria, Emilia-Romagna, sono sotto la minaccia di ripensamenti. Ci sono oscillazioni a tutto campo, anche verso destra e governo. Per esempio, sulle nomine Rai, e su questioni come il sostegno all’Ucraina e le armi da inviare. 
La partecipazione alle votazioni sul consiglio di amministrazione dell’emittente pubblica, rompendo la sintonia con il PD di Elly Schlein, fa guadagnare posti; l’opposizione all’invio di armi in Ucraina tende a intercettare certa opinione pubblica specie a destra che simpatizza con l’aggressore Putin.
Le accuse di opportunismo e incoerenza si moltiplicano ma non scalfiscono il personaggio né mettono in crisi la linea del movimento 5Stelle nelle mani di Conte. Il pragmatismo spregiudicato è l’unica strada per tornare a contare. Le ideologie saranno pure morte. Il buon senso però serve ancora.