di Marina Zinzani
Caro Vincenzo,
sono la mamma di Enrico, il tuo compagno di classe. Lo conosci bene Enrico, dato che l’hai scelto per scaricare tutto quello che di male può inventarsi un ragazzo di 11 anni.
Sì, hai solo 11 anni ed hai dimostrato in un anno la crudeltà che solo dei personaggi loschi, pregiudicati, riescono ad esprimere. Complimenti, sei sulla buona strada. Il tuo futuro sarà radioso. Ti farai strada nella vita, cercherai le tue vittime, sempre deboli e indifese, certo, non sei mica stupido, alzerai sempre la voce e quando occorre i pugni e ti farai rispettare. Così si fa. L’hai visto fare alla TV, i personaggi vincenti sono loro. E tu li hai imitati, ti è riuscito bene farlo, bravo.
Noi eravamo una famiglia felice. Due genitori che lavorano, due persone che hanno deciso un giorno di sposarsi, di comprare una casa e fare un mutuo, una coppia che usciva il sabato sera per una pizza immaginando il futuro assieme. L’amore è una cosa meravigliosa, è il titolo di un film, e posso dire che era proprio quella la felicità, quel sognare la vita assieme. In quel quadretto ci sarebbe stato un figlio. E la felicità c’è stata in tutti questi anni in cui Enrico cresceva, una serenità fatta di cose semplici ma appaganti. Non chiedevo di più dalla vita.
Poi sei arrivato tu. Ripetente, già circolavano brutte voci su di te. Ma bisognava farsi forza, essere positivi, i problemi con la scuola sono tanti, i rapporti possono essere complicati.
Enrico era un ragazzino che sorrideva sempre. Difficile dirlo, ma era così. Sempre positivo, gioviale, premuroso verso tutti. Un’anima buona e delicata. Era così, capisci? Era così prima che tu lo prendessi di mira, facendogli tutte quelle cose che lui dopo un anno di angherie mi ha confessato. Si è tenuto tutto dentro per non farci soffrire, me e suo padre, per paura che intervenissimo, perché temeva che questo avrebbe peggiorato ancora di più la situazione. Ha perduto da tempo il sorriso, io lo vedevo cupo e triste, e quando gli chiedevo qualcosa lui minimizzava, parlava di tanti compiti, di insegnanti, deviava il discorso.
Hai cambiato mio figlio. Gli hai creato ferite, un tipo di ferite che rimangono tutta la vita. C’è chi si è ucciso, per questo. Lui ha trovato la forza di raccontare, e noi cercheremo di proteggerlo ora, anche cambiando scuola. Ma quell’Enrico di prima non c’è più. Ci ha rivelato gli abusi di un anno, una sera nella sua camera, con le lacrime agli occhi e la voce tremante.
Ci siamo tormentati tanto, io e suo padre, ci siamo colpevolizzati per non avere capito subito le torture a cui era stato sottoposto da te, siamo feriti anche noi. La nostra piccola, semplice felicità se n’è andata, tanto è stato il tuo potere, che alla fine hai fatto così del male anche a noi. Ed anche ai suoi nonni, a chi gli è attorno e lo ama, ed ha saputo.
Spero che un giorno Dio, o il destino, o la ruota che gira, riescano ad illuminare quello che hai fatto, i danni che hai causato. Spero che quella luce diventi la tua condanna, diventi compagna della tua vita. Forse allora potrai fare qualcosa di meglio, essere una persona migliore.
La mamma di Enrico
* Premio nazionale di arti letterarie - Prosa inedita, Torino, 26 ottobre 2024
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