di Marina Zinzani
“Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te.” (Jim Morrison)
Qual è la vera prigione? Il passato, l’educazione ricevuta, i divieti, i pregiudizi?
Il senso di oppressione parte da lontano, ben prima del tiranno virtuale che si crede di individuare nel presente.
Il tiranno interiore, quello che crea una forma di prigione, è spesso frutto di eventi e di convinzioni granitiche.
Il mondo sembra fermo a dati provenienti dal passato, in grado di condizionare ancora oggi. Quel tiranno interiore conserva le chiavi della vera prigione, quella condizione che non fa fare un passo fuori dalla porta, mentre là fuori si potrebbero fare esperienze nuove, forse conoscere persone interessanti.
I pregiudizi fanno la loro parte, è andata così, sarà sempre così, si pensa. Le paure sono continuamente alimentate. Il disincanto si è insediato. È una prigione il non avere metabolizzato un’esperienza, la fine di una relazione, l’avere subito dei torti che hanno cambiato il proprio modo di vedere le cose. Dal punto di vista materiale anche la mancanza di denaro necessario è una prigione, certamente.
Assieme ai tiranni del presente, alla paura delle malattie, degli eventi, anche riguardanti i propri cari, si unisce la tirannia individuale, spesso nascosta nell’inconscio. Prigione del macrocosmo che si inserisce in quella del microcosmo.
Come liberarsi della propria prigione interiore? Forse con qualche sogno a cui credere. Forse con la rabbia necessaria che fa aprire la porta della prigione. Forse con il coraggio di un dialogo, o quello per tagliare dei fili. Forse con il coraggio di guardarsi dentro, ripercorrendo la propria storia, quello che è stato, quello che potevamo fare, quello che non abbiamo fatto. Con comprensione, compassione quasi verso noi stessi.
Occorre la volontà di tentare, per provare a dare forma ai propri desideri. Poi si vedrà. Il prigioniero avrà tentato la sua fuga. La sua mente sarà volata via dalla prigione, e questo sarà già tanto, un piccolo miracolo.
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