mercoledì 10 ottobre 2018

Allo specchio

Tra tutti i movimenti corporei, la grafia è quella che dà maggiori informazioni sulle emozioni del soggetto

di Paolo Brondi

I gesti del “corpo” possono far pervenire a significati mancanti più che le parole, specie quando lo scambio verbale è reso impossibile o dall’intensità dell’angoscia o in presenza di meccanismi difensivi. Il corpo si prolunga, attraverso l’ampiezza dei suoi movimenti; o, nell’attualità, per opera di strumenti che gli conferiscono un enorme potere (o l‘illusione del potere.) come l’automobile, il computer, i media in genere.
Tutti questi prolungamenti, reali o immaginari, suggeriscono che non è vero che il corpo è “aggredito” solo quando è “toccato” (fisicamente o emozionalmente). Il trauma può venire da lontano: da tanto lontano che, talvolta, nemmeno lo si sente arrivare e furtivamente si insinua. Nondimeno, il “corpo” metabolizza l’espressione della sua sofferenza, dei suoi traumi, attraverso vari sintomi: le manifestazioni psicosomatiche; i disturbi psicomotori del comportamento; le espressioni simboliche.
La scrittura, in particolare, può costituire l’espressione privilegiata di una sofferenza non verbalizzata; permette l’emergenza di un’angoscia non detta: è la manifestazione apparente di conflitti potenziali con la collettività di cui è mezzo di comunicazione. L’atto di scrivere, infatti, presenta la particolarità di essere una funzione che dipende dal corpo e dal pensiero, ed i cui meccanismi fisiologici sono in correlazione con lo stato organico del sistema nervoso centrale e variano con le modalità di questo stato.
Un esempio? La proiezione sulla scrittura della malattia parkinsoniana: la grafia diventa micrografica, salvo ritornare normale con assunzione del farmaco opportuno.

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