(Da Repubblica) |
L’abbandono del bimbo di Bari e l’inadeguatezza del sistema assistenziale
(Angelo Perrone) Un piumino smanicato sopra una tutina verde militare non è bastato a salvare la vita del neonato di 4 chili e 200 grammi lasciato da sconosciuti in una “culla termica” presso la parrocchia san Giovanni Battista di Bari.
I sensori non hanno funzionato, e non sono scattati gli allarmi. Il bimbo è stato trovato morto. Sono in corso le indagini, perché non si sa praticamente nulla. L’identità del bimbo e di chi l’ha abbandonato, tanto meno se il bimbo fosse ancora vivo al momento dell’abbandono, o fosse già morto.
In un frangente che solleva tante domande e scuote le coscienze, qualcuno non ha dubbi. È il parroco della chiesa presso cui si trovava la culla termica. Don Antonio Ruccia ha prima sostenuto che «qualcuno ha “giocato” con la vita di un bambino». Quindi, rivolto a chi ha abbandonato il bimbo, ha aggiunto «forse si poteva salvare, ma dobbiamo perdonare».
Infine, non avvedendosi della scivolosità dell’argomento, ha detto di «credere che il bambino sia stato portato qui privo di vita: forse la mamma del piccolo ha voluto “garantirgli” un funerale». Chissà perché ne sia tanto convinto.
Di ben altro tenore l’osservazione del vescovo della città, Giuseppe Satriano: «tutti convolti» per questa «vita abbandonata nell’indifferenza». C’è qui una responsabilità collettiva e non solo individuale, se rispetto alla situazione materiale dei singoli, e alle loro difficoltà, manca un sistema di protezione sociale.
L’episodio ha rivelato un mondo probabilmente sconosciuto ai più, sul quale riflettere. È quello appunto delle cosiddette “culle termiche”, di fatto incubatrici destinate ad accogliere neonati in forma anonima e, si dice, sicura.
Sono strutture complesse, locali appositi, protetti da inferriate, cui si accede premendo un pulsante che apre una tapparella per il tempo necessario a lasciare il neonato nell’incubatrice. Presso ospedali, associazioni, parrocchie.
È significato il cartello che a Bari lo indica. «Se sei in una situazione difficile, e non riesci a prenderti cura del tuo bambino, lascialo nella culla termica».
L’invito propone una soluzione che prescinde dal ricorso all’assistenza sanitaria e assistenziale. Semplificando e forse banalizzando si tratta di un “fai da te” che teorizza la rinuncia all’aiuto sanitario. Magari nel singolo caso serve a salvare una vita e perciò è comunque prezioso, ma certo si accompagna all’amarezza di una colpa sociale.
Non hanno un protocollo unico di funzionamento, né esiste una legislazione in materia. È un circuito estraneo alla sanità pubblica, più esposto al rischio, come nel caso di Bari, del guasto, malfunzionamento, errore, chissà. Queste iniziative volontarie sono mosse dal proposito lodevole di «raccogliere scarti della vita», come dice il vescovo, ma usano mezzi inappropriati.
Salvare la vita di qualcuno è comunque un grande merito, come avvenuto in precedenza nel 2020 e nel 2023 presso la stessa struttura con i piccoli Luigi e Maria Grazia. Ma rimangono perplessità e interrogativi. Questi casi mostrano l’insufficienza del nostro sistema pubblico, mai come ora a corto di risorse e personale per la trascuratezza della classe politica. E si corre il rischio di mascherare il problema della responsabilità sociale e della consapevolezza individuale.
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