di Marina Zinzani
“Uomo, se sei qualcuno, cammina da solo, parla con te stesso e non celarti in un coro. Accetta di essere talora schernito, volgi attorno lo sguardo, scuotiti per sapere chi sei”. (Epitteto)
L’uscita dal coro è cosa difficile e complessa. Eppure lo hanno fatto gli eroi, i poeti, gli artisti, con il loro modo visionario di vedere la realtà, di inventare un mondo diverso in cui raccontare l’uomo e il suo turbamento, il suo dolore, la penombra.
È in questa penombra che viaggia l’uomo solo: ha barattato il gregge per essere pecora solitaria che cammina ed osserva i fili d’erba, che sente il vento sulla pelle, che guarda il mare da un’altura.
Nella solitudine, l’uomo che ha lasciato il coro cerca quel silenzio in grado di dargli risposte, di rinvigorirlo. Solitudine anche forzata a volte, a causa della sua natura e della scarsa o assente empatia degli altri. Solitudine per potere dialogare con la propria anima, candela accesa in una casa di sera, quando fuori fa freddo.
Il vedere, il sentire, il comprendere in anticipo o più degli altri: spesso è questa la condizione di chi non è omologato all’indifferenza o alla superficialità. Condizione che è anche dramma silenzioso se non si trova un proprio simile che condivide.
L’armonia con la propria natura richiede però il coraggio di essere sé stessi, di non rinunciare a quello che si è, la disarmonia d’altronde presenterà prima o poi un prezzo più alto della solitudine. Una vita non propria si paga sempre, alla fine.
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