domenica 28 novembre 2021

In cerca di sé stessi

Racconto 
di Marina Zinzani
Tratto da I racconti della pioggia

(angelo perrone) Il tema della pioggia percorre anche storie di uomini, una sorta di controcanto alle loro inquietudini, alle difficoltà che incontrano, talora, per essere sé stessi, senza timori.

Stupenda era stata la cerimonia. Stupendi i fiori in chiesa, stupendo l’abito della sposa, stupendo l’addobbo al ristorante e stupenda la torta. Ogni cosa pensata da mesi, per non lasciare niente al caso. Così bisognava fare, per avere un bel matrimonio. Era un giorno unico nella vita, e lì doveva viversi il meglio, il meglio della bellezza, della convivialità, creare un’atmosfera suggestiva ed allegra. I matrimoni erano questo: ritrovarsi tutti insieme, anche con dei parenti che non si vedeva da una vita.
Alessandro era lì, al tavolo del ristorante, con i suoi genitori e altre persone. Si sposava suo cugino Guido, e la sposa, Laura, era bellissima. Un matrimonio ineccepibile, d’altronde lei parlava da mesi dei preparativi, e ogni dettaglio era stato molto curato, dai fiori, dalla scelta della tavola, dalle bomboniere. Era giusto così…
Erano a tavola già da tre ore, ed Alessandro iniziava ad avere caldo. Si era allentato il colletto della camicia e il nodo della cravatta, e si era tolto la giacca. Forse le cento persone in sala avevano scaldato l’ambiente, forse il vino aveva avuto un certo effetto. O forse si stava espandendo un caldo che sapeva di fuoco e il fuoco di rabbia. Cominciava a detestarli tutti, quelli che erano presenti.
“Adesso toccherà a te, sei rimasto solo tu della famiglia…”
Quella battuta, fatta altre volte e non risparmiata neanche in quell’occasione, gliel’aveva fatta la zia Clotilde. Lei, e il suo vestito blu delle grandi occasioni, lei che aveva sistemato bene i figli, tutti sposati, i nipoti che nominava sempre, lei si era avvicinata a lui, e di fronte a tutti aveva detto quella frase. Oddio, una frase banale, si dice ai matrimoni…
Sua madre l’aveva guardato, pensieri misteriosi, parole non dette, sguardo che parlava di interrogativi, di aspettative. E suo padre era rimasto a testa bassa. Allora si era levato lo zio Gennaro, e aveva rincarato la dose.
“Certo, una bella ragazza ce la farai conoscere… Si sono tutti sistemati, manchi solo tu…”
Allora lui aveva sorriso, ironico. Con fare misterioso, di chi ha una vita da qualche parte, una donna che ancora non vuole presentare, una sorpresa che farà prima o poi a tutti…
“Hai un’età, Alessandro, che è ora di farle certe cose, la famiglia si fa da giovani, non da vecchi… e se vuoi avere figli non devi aspettare tanto…” aveva rincarato la dose la zia Clotilde.
“Non è poi così vecchio…” aveva minimizzato sua madre, quasi stizzita.
“Però ha otto anni più del mio Guido, e hai visto che bella ragazza si è trovato… Certo mia nuora oggi ha fatto un figurone… Mi aveva detto che il vestito era bello, ma non credevo così… e quelle perline, tutte quelle perline…”
Perline. Abito da sposa. Acconciatura. Trucco poco naturale. Banchetto interminabile, dieci portate per provocare quasi un’indigestione. Caldo. Caldo ed è anche umido. Minaccia di piovere. Voglia di andarsene. Doveva vantarsi, la zia Clotilde, che suo figlio si era appena sistemato. Mettere quasi in imbarazzo sua madre, sì, la vecchia rivalità che c’era fra di loro, cose mai capite…
Mio figlio è a posto, tu… Avere quasi quarant’anni e non essersi sposato. Neanche avere avuto un fidanzamento. Solo storie misteriose, ragazze non fatte conoscere ai genitori. Un alone di mistero. Per proteggersi. Un alone di mistero che significava una corazza fragile per difendersi. Difendersi dalle domande, dalle aspettative. Per qualche tempo, per più tempo possibile.
La festa aveva cominciato a scaldarsi. Non era solo l’ambiente ad essere diventato caldo, i volti dei presenti diventati più rossi. L’orchestrina chiamata per l’occasione era passata da musiche soft a qualcosa di più deciso. Adesso, verso la fine del pranzo, era il momento di ballare. E allora le note della tarantella avevano fatto esplodere l’atmosfera, gli sposi si erano alzati ed erano andati al centro della sala, e poi tanti li avevano seguiti, un’allegria che si esprimeva in quei movimenti anche buffi, di corpi appesantiti. Ma erano felici. Ridevano. Si divertivano.
Guido era l’ultimo cugino che si sposava. Per fortuna non ci sarebbero stati altri matrimoni. Altri parenti da vedere, altre domande a cui rispondere, domande fatte da persone che si aspettavano qualcosa da lui. La sua regolarizzazione, una donna, una famiglia. Come fosse una decisione che si prende e si attua. Come se si comprasse un sentimento, un’attrazione, o si decidesse di averla a comando.
Assurdo… E quelle donne non lo capivano… Già c’era stata anche un’altra sua zia, al mattino, in chiesa accanto a lui, che gli aveva sussurrato “Speriamo che anche tu incontri una brava ragazza…”
Qualcuno era preoccupato per lui, a quanto pareva. Che si trovasse una brava ragazza, tre parole importanti, in cui era racchiuso un mondo, un preconcetto, un’idea di vita, certamente appartenuta a cinquant’anni prima. Gente che aveva ancora poca dimestichezza con il divorzio, la convivenza, i matrimoni gay…
Alessandro li guardava, gli invitati, li guardava ballare, ridere. La zia Clotilde con le sue gambe gonfie, lo zio Gennaro con la pancia sempre più prominente che aveva certamente bevuto troppo, e poi le sue cugine, le amiche della sposa. Alcune non si erano alzate a ballare, e guardavano la scena quasi con snobismo. Una lo fissava, ogni tanto.
Alessandro si alzò, sentì qualcuno che lo invitava ad unirsi a loro, e la tarantella adesso era diventata altro, un ballo che neanche conosceva, roba da villaggio turistico, e tutti che si divertivano e sapevano anche le mosse, come facevano a conoscere tutte le mosse…?
Andò fuori, a fumarsi una sigaretta. Il cielo non prometteva niente di buono. Sentì qualche goccia. Sposa bagnata, sposa fortunata. Scherzi fatti dagli amici, alcuni anche volgari. E giù tutti a ridere. Per fortuna era l’ultimo matrimonio della famiglia. Per fortuna.
Il fumo della sigaretta usciva dalla sua bocca, il grigio dei pensieri, del volto contratto, della poca voglia di ridere, dell’insofferenza. Dei sorrisi che celavano altro, la voglia di andarsene il prima possibile, la voglia di andare da qualche altra parte e di non sentire più quei discorsi, “quando ci farai conoscere una brava ragazza?”, discorsi di anni, di molti anni, ormai.
Il grigio del fumo e l’allegria sempre più sguaiata. Vedeva attraverso la vetrata la sposa e la sua giarrettiera lanciata in aria.
Nausea. Nausea e voglia di andarsene. Il problema era che aveva i suoi genitori, su in macchina, non poteva lasciare tutto così. Doveva aspettare la fine, ma chissà quelli, dentro, che ora avrebbero fatto. L’odio per la lunghezza esasperante dei matrimoni. Lui non avrebbe dato certo un tocco così forte, esagerato ad un matrimonio… Una cosa semplice, più sentita, senza guardare troppo ai particolari…
Che pensiero… Il suo matrimonio… Si girò verso la vetrata. Li vedeva. Chi erano? Suo padre, sua madre, i suoi due fratelli, le loro mogli, i loro figli, e poi i parenti, gli amici degli sposi… Chi erano?
Chi erano loro, e lui. Lui e quella parola che non si poteva dire. Per un attimo provò ad immaginare la scena. Entrare dentro e dirla, quella cosa… Gli appariva divertente, l’idea. Immaginò la reazione di sua madre, a testa bassa e senza parole, lo sguardo feroce di suo padre, lo sconcerto dei suoi fratelli, il sarcasmo delle cognate, magari qualche sussurro… “Io l’avevo detto…” Forse qualche bambino piccolo avrebbe candidamente riferito di averla ascoltata alla televisione, quella parola…
Divertente, sarebbe stata una scena divertente. Di quelle che si raccontano per anni. Di quelle che rovinano una festa.
Aveva lo sguardo triste, e il silenzio di chi si fuma una sigaretta da solo, appoggiato ad un muro, e guarda il parcheggio delle macchine in un giorno che per altri è di festa.
La porta sì aprì. Era Maria, sua cugina.
“Che fai qua?”
“Niente, mi fumavo una sigaretta.”
Allora anche lei si appoggiò al muro.
“Stanno degenerando, di là” commentò lei.
Lui non rispose. Continuava a guardare il parcheggio, mentre un’altra nuvola di fumo usciva dalla sua bocca.
Maria non era una persona qualsiasi. Maria l’aveva visto, una volta, con uno… ma non gli aveva mai chiesto niente…
“Io non mi sposerò più, sai, ma se lo rifacessi non farei una pagliacciata simile… Quella della giarrettiera poi…”
“Già, anche a me non piacciono queste cose… E poi quegli scherzi…”
Maria lo guardò. Era uno sguardo buono, e lei sembrava volesse dire qualcosa…
“E con tuo marito come va?”
“E’ finita. Sono una separata, adesso. Mia madre minimizza di fronte agli altri, dice che siamo solo in crisi ma le cose si aggiusteranno… Eh, i nostri genitori sono di un’altra generazione…”
“Lo so.”
Le parole di Maria gli fecero tornare un po’ il sorriso, era un sorriso malinconico mentre la pioggia cadeva, ma lei era la migliore, da sempre. Testarda, decisa, non aveva paura del giudizio degli altri. A differenza di lui.
“Dai, torniamo dentro… La prossima volta ci sposiamo io e te, cosa ne dici?” disse lei sorridendo.
“Non si può, cara cugina.”
E lei gli mise una mano sulla spalla e allora la giornata apparve un po’ migliore, un po’ meno triste, e lei restò accanto a lui fino alla fine della festa, lei separata con un sacco di problemi, lui che…
Se ne andarono dal ristorante che era già sera. Lo sguardo di Maria, che aveva capito tutto, lo sentì a lungo, e se lo portò dentro anche la notte e nei giorni seguenti. E per un po’ quella tensione si allentò perché qualcuno lo capiva, senza chiedergli niente.

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