domenica 18 settembre 2016

Il corpo, la persona e la legge

di Paolo Brondi
(Come il diritto parla dell’uomo)

Come osservava il grande antropologo Luis Dumont (1911-1998) ”la fine del XX secolo segna la svolta per il pensiero giuridico di scoprire il corpo, mentre il sistema di pensiero in cui si muoveva, era stato costruito duemila anni prima, perché non se ne parlasse e perché il giurista abbandonando la sacralità di questa cosa al prete e la sua trivialità al medico, potesse ricostruire un’umanità popolata di persone, ovvero di creature giuridiche, cioè create dal giurista” (Louis Dumont, Homo Hierarchicus. Il sistema delle caste e le sue implicazioni, Milano Adelphi,1991).
In realtà, nonostante il progressivo sviluppo del pensiero giuridico e l’indubbia crescita dell’organizzazione del sapere, perdurante è la decostruzione del corpo, se è vero che ancora oggi si assiste alla sua identificazione attraverso le immagini, esibite attraverso la moda, la pubblicità erotica, i media, ove spesso ridondante è solo la velina del corpo.
Nella stessa dimensione giuridica non è il corpo al centro dell’attenzione del giurista, ma la sua astrazione, espressa con la voce persona: voce che non denota la concretezza della realtà umana ma la sua rappresentazione, l’immagine filosofica e giuridica di uomo. La virtualità domina nel mondo dei diritti, fatta di modi, modelli, figure; di parole come fattispecie che significa immagine del fatto e quindi induce a cogliere più la forma che la sostanza degli accadimenti reali, perfino quelli della nascita e della morte: è il dato sociale che fa acquistare al corpo nato vivo, o morto la qualità di persona e quindi la sua rilevanza giuridica. Eppure, il corpo è il prisma attraverso cui passa la luce di ogni esperienza e in cui ogni esperienza viene elaborata. Perché il mondo del giurista non appaia una realtà metafisica e il corpo rientri nelle sue competenze, occorre riconsegnare al corpo e alle sue proiezioni, il gesto, la parola, lo scrivere, il disegnare, la sua tangibilità, la sua dattilità, la sua carnalità, rispetto alla virtualità del suo esistere.

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