martedì 13 settembre 2016

La donna di cenere

di Marina Zinzani
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) Dedicato a Marcy Borders e a tutte le vittime dell’11 settembre 2001 a New York. Lei è “la donna di cenere”, come venne chiamata dopo essere stata fotografata quel giorno mentre fuggiva dall’Word Trade Center, coperta appunto di cenere e di detriti. Un’immagine diventata un’icona di quella tragedia e delle sue conseguenze.
E’ morta nel 2015 di cancro. Suo cugino ha scritto che la malattia si era nascosta in lei da quel giorno. Nessuno sa quante persone abbiano contratto dei tumori dopo aver respirato quelle polveri maledette, tuttavia furono diagnosticati migliaia di casi di cancro tra le vittime dell’esplosione e i volontari che si erano spesi per salvare tante vite umane, il doppio di quelli registrati l’anno prima. Marcy, dopo quel giorno, non era riuscita per molti anni, ad andare avanti con la sua vita: droghe, alcol, tossicodipendenza, disoccupazione. Aveva appena ripreso a vivere, per i suoi figli e per se stessa, quando quella maledetta polvere si è ricordata di lei.

Quando Marcy andò quel giorno a lavorare, il sole splendeva. Non c’erano nubi, e tutto il suo mondo era uno scrigno con un sogno realizzato: un lavoro prestigioso in uno dei posti più affascinanti della città.
Niente faceva presagire al peggio. Se si fosse fermata presso un indovino, quella mattina prima di andare al lavoro, questi avrebbe detto qualcosa, ma poi si sarebbe fermato. Avrebbe scosso la testa, l’indovino, perché non c’erano nel suo vocabolario parole che potessero esprimere quello che lui aveva percepito.
Se quel giorno si fosse alzata con una febbre altissima, avrebbe dovuto chiamare l’ufficio e dire che proprio no, non ce la faceva ad andare. Se quel giorno persino fosse stata scippata, magari fatta cadere facendosi così male da aver bisogno di cure mediche, avrebbe dovuto, anche in quel caso, telefonare al lavoro e dire “no, non posso proprio venire oggi”.
Se fosse accaduto tutto  questo… Bastava un niente, uno di quegli imprevisti che salvano, quelle cose che all’inizio fanno rabbia, come perdere un aereo, come disdire all’ultimo momento per l’improvvisa malattia di un figlio, ecco quegli imprevisti che si trasformano in salvezza.
Quella mattina era cominciata allo stesso modo di tutte le altre mattine, salutando i colleghi. Davanti, il panorama, invidiabile. Il centro del mondo. Essere al centro del mondo.
Quando accadde, quello che anche ora, dopo quindici anni, è difficile da spiegare, collocare, fare entrare nei nostri cervelli perché fu difficile fin da subito inserire dentro immagini, eventi, aerei che andavano dentro i palazzi e la gente che cadeva, si buttava giù come fossero formiche su un tappeto che si scuote, quando accadde, Marcy pensò che stava morendo. Aveva davanti la sua morte, qualche istante prima che accadesse. Le dissero di restare al suo posto, ma lei non ubbidì, fece le scale in fretta, riuscì ad uscire. Prima che tutto crollasse. No, non era il giorno della sua morte. Si era sbagliata.
Statua di donna coperta dalla polvere, sotto la polvere intuire un volto, il colore di un abito. Così la fotografarono, quel giorno. Le attribuirono il nome di “Dust lady”.
Non è stata facile la sua vita, dopo. Avrebbe dovuto esserlo, chi scampa a simili eventi acquisisce il dono del percepire la bellezza in tanti posti che altri non vedono, sa che ogni momento della sua vita è prezioso, sa che non va sprecato. Ogni giorno gli sembra un regalo, poteva non esserci.
Ma questo non accade a tutti. Non a tutti i sopravvissuti. Da quel giorno Marcy, la statua di polvere, si era perduta. Era entrata in angoli bui, e se l’indovino le avesse detto quello che l’aspettava avrebbe interrotto improvvisamente ogni discorso, non chiedendo neanche denaro, l’avrebbe guardata e abbassato gli occhi.
La statua di polvere è morta nel 2015 per un tumore. Probabilmente causato da ciò che aveva respirato quel giorno.
Vorremmo dimenticare, sono passati abbastanza anni e quelle immagini sono state trasmesse migliaia di volte. Ma altre statue di dolore sono state immortalate da allora, ragnatela triste che ci avviluppa.
New York sa essere bellissima. Probabilmente l’ha pensato Marcy, qualche volta. Il tramonto e la vita che si accende di sera, cartolina di un mondo, di persone, di uomini, donne, bambini, che vanno a Central Park, che trovano piccoli angoli piacevoli nella routine, amici che si danno appuntamento a un ristorante, che hanno tante cose da raccontarsi. La vita.

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