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Il messaggio delle elezioni di Gran Bretagna e Francia

Più del premierato, sono le regole elettorali a migliorare la democrazia

(Sintesi del contributo pubblicato su Critica liberale il 15 luglio 2024 con il titolo "Elezioni in Gran Bretagna e Francia, la lezione per l’Italia")

(Angelo Perrone) Le elezioni in Gran Bretagna e Francia presentano somiglianze: ha vinto sempre la sinistra, ma le analogie finiscono qui. Sarebbe un errore pensare che il vento stia cambiando e che il campo progressista possa prevalere sulla destra europea, data in forte crescita nel continente. 
Sono tante le questioni. Destra e sinistra in quei paesi europei (e poi in Italia) hanno le stesse caratteristiche? Si può davvero pensare che i contendenti abbiano un’anima analoga? Essere di sinistra (o destra) in Inghilterra è la stessa cosa che esserlo in Francia?
In secondo luogo, la vittoria della sinistra è avvenuta al primo turno per i laburisti britannici (rispettando le previsioni); al secondo in Francia (contro i sondaggi). Non è una differenza da poco, esprime una divergenza di fondo sul rapporto politica – società.
Sono aspetti rilevanti da considerare, prima di concludere che la tendenza sovranista e populista in Europa stia regredendo. 
In Gran Bretagna c’è stata sicuramente una clamorosa sequenza di errori da parte dei conservatori, politici (la Brexit, il peggioramento delle condizioni salariali e di vita degli inglesi) e di etica pubblica (personaggi come Boris Johnson che in piena pandemia e restrizione sociale organizzava festicciole a Downing street). 
Nel sistema britannico (bipartitico), il partito laburista ha risposto con una piattaforma programmatica riformista, lontana dagli estremismi di Jeremy Corbyn, capace di convincere l’elettorato in nome di semplici beni pubblici, la moderazione e la stabilità. Una componente democratica (il partito laburista) ha potuto sostituire – fatto il bilancio meriti e demeriti – un’altra componente altrettanto democratica (il partito conservatore). Non c’era pericolo di deriva estremista, né da un lato né dall’altro. 
L’identità politica (egualmente democratica) dei contendenti implica un’altra considerazione, che riguarda l’adeguatezza del sistema maggioritario puro, un solo turno. Vince chi ottiene un voto in più in ciascun collegio. 
Balzano allora agli occhi le differenze con la situazione francese, e di riflesso con quella italiana, dove invece sono problematici la coerenza democratica delle parti e l’omogeneità delle stesse. In Francia l’estremismo della Le Pen in politica estera (niente più aiuti all’Ucraina, scetticismo sull’Europa) ha spaventato oltre misura. Esiste la minaccia attuale di una Francia nostalgica del passato coloniale, orientata contro gli immigrati, e critica verso l’Europa.
Contro il pericolo incombente è stato chiamato sulle barricate, addirittura da un presidente moderato come Emmanuel Macron, un fronte, disposto ad accogliere chiunque, compreso l’estremista di sinistra Jean-Luc Mélenchon.
L’azzardo elettorale per fermare la destra ha funzionato, allontanando la Le Pen dal governo e domani dalla presidenza della Repubblica. In questo caso, è tornato utile, per le caratteristiche della società francese, il sistema maggioritario ma a doppio turno. 
Dopo lo scontro tra l’estremismo della destra e quello della sinistra radicale, solo la seconda mandata elettorale – basata su accordi e desistenze, rinunce e compromessi accettabili - ha potuto dare spazio al maggior consenso necessario per vincere. È appunto così che il centro sinistra francese, pur eterogeneo, è prevalso. 
Le esperienze inglesi e francesi, ma anche quella italiana, dimostrano la centralità del sistema elettorale per il buon funzionamento di un paese e delle sue istituzioni. È un fattore imprescindibile. In fondo il meccanismo riflette la composizione della società e il grado di coesione interna.
Le regole elettorali non sono artificiose né neutre. Esse esprimono la storia sociale di un popolo, il suo modo di essere in un tempo determinato, il livello di condivisione (o meno) di valori comuni.
Nei paesi democratici-liberali, il sistema elettorale deve raggiungere un equilibrio tra le esigenze di stabilità e quelle di rappresentatività. Entrambe devono essere salvaguardate, affinché non ci sia massima rappresentanza in un organismo disfunzionale, oppure massima solidità in un contesto non rappresentativo.
Ugualmente l’esperienza storica indica l’utilità di sistemi maggioritari, lasciando aperta, secondo le situazioni, la questione se debbano essere ad uno o due turni.
Gran Bretagna e Francia sono la risposta – di modello maggioritario – a situazioni politiche e sociali opposte. Nella prima, l’omogeneità delle forze politiche, nella diversità di progetti, permette un esito secco anche al primo turno. La democrazia infatti non è in balia di forze estremiste.
In Francia occorre, dopo il primo scontro in cui emergono frange estremiste, un turno (il secondo) più ragionato, che metta insieme un consenso più ampio e maturo, che può essere raggiunto solo ponendo da parte le diversità maggiori e concentrandosi su ciò che unisce, dato che la coesione non costituisce il dato di partenza.
Il panorama francese è quanto mai simile a quello italiano. 
Le vicende elettorali europee chiariscono quanto siano decisivi i sistemi elettorali e di riflesso quanto effimeri e pericolosi i tentativi di aggirare il punto con mosse improvvisate e distorsive del buon funzionamento della democrazia.
Il pensiero va subito all’insistenza di Giorgia Meloni per l’introduzione del premierato in Italia, con una modifica costituzionale che minaccia di aver gravi ripercussioni.
Si coltiva la tentazione di dare efficienza e stabilità al paese non già per mezzo dello strumento cardine a ciò destinato, cioè il meccanismo elettorale.
Al contrario agendo dall’alto e alimentando l’illusione che basti un capo forte (anche donna) perché tutto funzioni, come se la vita del paese potesse fare a meno di ciò che la anima nella diversità e la fa crescere in libertà, in ultima analisi la rappresentanza parlamentare e gli organi di garanzia, come il presidente della Repubblica, e la magistratura.

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