lunedì 3 giugno 2019

Agata

(Una scheda "madre")
(ap) I “racconti del sabato”: una giornata della settimana, occasione di un racconto. E’ un momento particolare, spesso infarcito soltanto di maggiori impegni, faccende di casa, per una donna. Da trascorrere correndo, con le ore ancora una volta contate, insufficienti.
Un tempo per fare ciò che si è rimandato in attesa di trovare spazio tra le proprie cose, oppure, invece, per dedicarsi a qualcosa di piacevole, divertente; leggere un libro, guardare un film, uscire con amici di vecchia data. Trovare pace e serenità, piccoli piaceri. Accade anche di non fare nulla, guardarsi intorno in casa, fare una passeggiata. In compagnia dei propri pensieri.
“Agata” è la storia di una madre, preoccupata per i figli che vede crescere, esposti a mille pericoli, la discoteca, gli amici, la droga, tutte le cose che rendono incerto il presente dei giovani e espongono i genitori a recriminazioni e dubbi. Sono una buona madre? Cosa fare per i figli, oltre che rimanere svegli fino al loro ritorno a casa nella speranza di non vederli né “sfatti”, né travolti dalle inquietudini dell’età.
Una condizione assolutamente speculare, e di segno opposto, rispetto a quella dell’amica di sempre, che – senza figli – non ha nessuno di questi problemi e vive, così sembra, spensierata. Il sabato, per due donne tanto diverse e pur amiche, è il momento in cui le loro vite sembrano divaricarsi più nettamente. Generando incomprensione.

di Marina Zinzani

Il sabato cominciava sempre allo stesso modo. La lavatrice, i letti da rifare, le pulizie. Alzarsi di mattina presto, perché neanche di sabato una donna riposa, se durante la settimana lavora. Ma tutto questo come cosa consueta, di cui non lamentarsi.
Agata aveva nostalgia ogni tanto delle lunghe ore di sonno di quando era giovane, e toccava a sua madre fare i lavori in casa. Lei il sabato dormiva fino a tardi, e poi era un uscire gradevole, incontrare un’amica, farsi un giro al mercato.
Erano passati tanti anni da allora, nelle sue mani c’era una fede al dito, nella sua casa le foto dei figli, Lorenzo e Camilla. Il maschio di 14 anni, la femmina di 18. L’adolescenza.
Il sabato era caratterizzato da due cose, anzi tre: le faccende domestiche, l’incontro con la sua amica Chiara, di pomeriggio in un bar o in una sala da the, e la preoccupazione per la figlia. Di sabato cominciavano le angosce sottili, taciute, i pensieri che andavano per conto loro, fra mille rivoli e possibilità.
Molte di queste possibilità erano nefaste. Camilla si era messa in un brutto giro, rientrava tardi la notte, anzi, non era neanche più notte, era l’alba, l’alba della domenica, la incontrava alle sei del mattino, lei insonne da ore ad aspettarla, a guardare dalla finestra, a farsi un caffè in cucina e a far finta di niente quando la figlia tornava, come se avesse riposato tranquillamente. Anche oggi è tornata: i pensieri trovavano un punto fisso, la cosa più importante. Un mezzo saluto, un vago odore di fumo nei vestiti, di alcol nell’alito, il volto tirato, gli occhi apatici, solo accesi quando doveva rispondere a qualche domanda: cosa hai fatto, dove siete stati. Insofferenza, parole sgarbate, un’alzata di spalle.
Il sabato sera, cruccio settimanale, appuntamento a cui ogni madre e ogni padre facilmente rinuncerebbero, in nome di un po’ di tranquillità. Era chiaro che qualsiasi imprevisto o disgrazia poteva accadere anche altri giorni, anche di pomeriggio, ma il sabato sera, anzi la domenica mattina, Camilla tornava in stato pietoso. Chi era il suo ultimo ragazzo? Ah, saperlo… Da tempo la ragazza non raccontava più niente a sua madre, le risposte erano evasive e polemiche. Ai tuoi tempi… e giù un sorriso sarcastico…
Che noia, tutto questo. Oltre alla preoccupazione, allo sguardo di notte alla sveglia, le lancette che scandivano le quattro, le quattro e mezzo, le cinque,  anche le sei e mezza, c’era qualcosa che affaticava la mente, fino a rendere sterile la sua vita, diventava tutta una serie di pensieri, preoccupazioni, cose da fare, senza un minimo di piacere. In tutto questo suo marito stava in disparte, diceva di non preoccuparsi, che era l’età, che Camilla avrebbe trovato un bravo ragazzo e si sarebbe sistemato tutto. Come se non vedesse dei segni, dei sintomi per niente confortanti.
I pensieri si inserivano come anguille viscide nelle faccende quotidiane. Anguille che diventavano anche serpenti, a volte. Sua figlia si drogava? Droghe leggere? Non poteva escluderlo. C’era un muro fra di loro, l’incomunicabilità dei giovani, i social che avevano preso il posto dei dialoghi, del guardarsi negli occhi. La mancanza di comprensione verso una madre che poteva essere stanca il sabato, e si poteva aiutare nelle faccende domestiche. E invece no, Camilla stava chiusa in camera o usciva. Dialoghi zero.
Perché la sensibilità fa vedere le cose per come sono, perché fa interrogare più degli altri, perché fa soffrire e rendere malinconiche le giornate: era il mondo di Agata questo, spesso celato anche a se stessa. Appariva solo una madre che si preoccupava di una giovane di oggi.
Chiara era l’amica del sabato pomeriggio. L’unico vero svago mentale durante la settimana. Il ritrovarsi davanti ad una tazza di the, a due pasticcini, raccontarsi le proprie cose faceva parte di quel mondo di salvataggio che appariva il rapporto fra donne, quel disinnescare le tensioni anche con l’ironia, quel confrontarsi che poteva aiutare.
La vedeva Chiara, alle prese con il suo nuovo problema. La vedeva ora che si erano trovate davanti al solito the del sabato pomeriggio.  Un bacio.  “Come stai, tutto bene?” Ordinare, e poi cominciare a chiacchierare. Un problema, quello di Chiara, che aveva preso la scena. Doveva andare alle Canarie, aveva una settimana di ferie e con il marito aveva visto un hotel niente male a Tenerife, ma il volo super scontato partiva da un’altra città. Che fare?
Ecco, il problema di Chiara che non aveva avuto figli. Il problema era da dove prendere un aereo per Tenerife. Non se la figlia fosse tornata a casa sana, la domenica mattina, se qualcuno non avesse telefonato nel cuore della notte… La pelle di una diciottenne così già sciupata, le parole quasi incomprensibili, la mattina… Alcol o di più… E Chiara che non aveva avuto figli le presentava i suoi problemi…
Lei aveva provato pena per Chiara un tempo, era una menomazione non avere figli, era la privazione del futuro. Aveva provato pena e qualche volta ne avevano anche parlato, e Chiara aveva alzato le spalle, se era destino, aveva detto… Certo, aveva pensato per tanti anni Agata, quante cose si perdeva l’amica: le tenerezze di una figlia, la bambolina dai riccioli d’oro, la luce della giornata che la piccola presenza regalava. Niente, nessun viaggio all’estero, nessun abito, nessun ristorante, nessuna libertà poteva essere comparabile all’affetto di una figlia.
Ora un dio crudele aveva girato il prisma, c’era un’altra possibile realtà: Chiara era privilegiata a non aver figli, Chiara coltivava un buon rapporto con il compagno, rafforzato da viaggi, da gite con amici, da interessi comuni, da abbastanza denaro. Una vita invidiabile, appariva ora quella dell’amica. I figli alla fine non le mancavano, era destino, aveva detto. Con un sorriso.
Chiara glielo chiese, come andava con la figlia. Agata più di una volta si era sfogata. La ragazza da almeno due anni era intrattabile, la considerava una governante, anzi una serva, e poi… in che giro si era messa… come può una ragazza ubriacarsi… ubriacarsi a quel modo… gliel’aveva detto piangendo, si era confidata Agata, ma a cosa era servito… cosa poteva capire Chiara, che di figli non ne aveva e non sapeva cosa voleva dire vivere nel terrore, terrore a volte…
Chiara le fece qualche domanda. Dopo la parentesi Canarie, dopo il suo annoso problema, l’attenzione verso il mondo di Agata fu quasi doverosa. Ma sembravano problemi senza via d’uscita. La sensazione di fallimento era nell’aria, Agata era fallita come madre, fallita come donna, non si sentiva niente. Non era niente.
Chiara dopo un po’, dopo qualche confidenza di Agata, “Camilla è tornata alle quattro sabato scorso, barcollava, ero sveglia”,  Chiara dopo un po’ guardò l’orologio. Lo sguardo altrove, non diretto a lei. Era il segno della noia. Il mondo dei figli degli altri annoiava. Doveva passare in agenzia per il suo viaggio, questo disse ad un certo punto.
Si salutarono poco dopo, e mentre rincasava Agata pensò che qualche sabato con Chiara poteva saltarlo, in fondo non avevano poi tante cose da dirsi.

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