martedì 27 aprile 2021

Canzoni di ieri

Milva e la coscienza del tempo


di Marina Zinzani

I cantautori ci hanno fatto compagnia. Parlavano di stati d’animo, di inquietudini, di denunce, parlavano ad una gioventù che si affacciava alla vita, le loro parole sono state raccolte e mai dimenticate.
Se guardiamo indietro, Vecchioni, De Andrè, Guccini, Tenco, Jannacci, Endrigo, e tanti altri ci appaiono compagni di viaggio che ci hanno fatto dono di poesie. Le abbiamo ascoltate più e più volte quelle melodie, con parole che sembravano un faro, perché illuminavano dei sentimenti, dicevano cose importanti. 
Milano e il tempo che passa, la mutevolezza della vita, le cose che si perdono, che si rimpiangono, non potevano essere descritti meglio che in “Luci a San Siro” di Vecchioni. Quel “luci a San Siro non se ne accenderanno più” diventa il canto di qualcosa che scivola via, è diverso il presente, e può essere pieno di traguardi raggiunti, ma ciò che si è perduto può avere un valore incalcolabile. 
“E purtava e scarp del tenis” di Jannacci diventa denuncia del correre, della fretta, e del non vedere la realtà dei barboni, in un affresco struggente. E lui ha cantato così spesso la gente comune, i non eroi o meglio gli eroi quotidiani silenziosi, e gli ultimi.
Tenco e l’amore, sofferto, perduto, inquieto, che ancora ci tocca corde così profonde, per la sua fine prematura e misteriosa. “Ciao amore ciao” rimane nella memoria: era così bella, perché non fu capita a Sanremo? E “Vedrai, vedrai” è un inno alla speranza, frammentata dal realismo che è così poco poetico, ma quelle parole vanno sopra a tutto, vedrai, vedrai che il mondo cambierà.
I cantautori ci hanno accompagnato per decenni e veramente oggi ci appaiono per quello che furono. Dei poeti. Abbiamo attinto a qualcosa di vero, di non confezionato, preconfezionato, fabbricato a tavolino, sponsorizzato, imposto. Parlavano al cuore e quelle parole hanno aiutato intere generazioni. Hanno provato a raccontare la vita, in percorsi in cui si intravedeva il sottofondo di solitudine che hanno fatto da sottofondo a certi capolavori, l’individualismo doloroso in cui ricade spesso il poeta. 
Oggi in tanti supermercati si ascolta della musica, o meglio si ascoltano delle canzoni. Risultano fastidiose spesso, le stesse parole ripetute all’infinito, senza melodia. Certo, “luci a San Siro non se ne accenderanno più”. Forse chi pensa questo fa parte di una generazione a disagio in questo presente, che trova poca emozione in ciò che offre il mercato. Sarà così. Ma l’uscita di un album allora appariva come una piccola felicità a venire, una felicità in forma di cassetta da aprire e da ascoltare. Una promessa mantenuta, un dono immenso.

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