La pandemia ha imposto di ripensare alla libertà individuale in rapporto al dovere di solidarietà verso gli altri
(Angelo Perrone) La lotta alla pandemia è stata accompagnata dal sostegno convinto della stragrande maggioranza della popolazione, disposta al sacrificio in nome dell’interesse collettivo (e proprio). Ma c’è anche stato un vociare continuo e d’intensità crescente, mentre si intravedeva la via d’uscita, che manifestava dubbi e paure, esponeva perplessità e dissensi, formulava infine contestazioni e proteste. Come negli ultimi tempi a proposito del green pass.
Il punto in comune: un registro di crescente intensità, e assai pesante, che lamentava la riduzione delle libertà individuali, lo svuotamento della democrazia parlamentare, la virata liberticida dovuta alle misure antiCovid. Senza tema di esagerare o cadere nel ridicolo, si è parlato di “dittatura sanitaria”, “tirannia vaccinale”, “schedatura nazista”.
Si è contestato, da pulpiti qualificati, il ricorso ai dpcm (in luogo delle leggi) per limitare la libertà dei cittadini e applicare il lockdown (ma ora la Corte Costituzionale lo ha ritenuto legittimo). Poi si è lamentato l’eccessivo uso di decreti legge (perché irridevano al ruolo del parlamento), non considerando la necessità di seguire l’evoluzione a breve termine della pandemia.
E siamo a questi giorni: non si sono sopiti i dibattiti, in vero surreali, sull’argomento cruciale: il green pass per lavorare/studiare e frequentare luoghi aperti al pubblico. Anche questa volta, mano alla Costituzione (letta però male), si denunciano “manovre discriminatorie” verso i cittadini, lesioni dei diritti di libertà (di non vaccinarsi), codardie dei governanti. Rappresentanti dello Stato non si peritano di calcare i palchi delle piazze con queste parole d’ordine.
Queste vicende insegnano l’importanza di aver cura delle parole, di esercitare cautela e accortezza quando si fanno riflessioni, e soprattutto mentre si citano principi come quello di libertà, antichi e nobili, ma fragili.
È singolare che alla stessa libertà facciano riferimento tanto coloro che introducono restrizioni quanto quelli che le contestano, in questo senza distinzione tra destra e sinistra, ammesso che questi termini conservino ancora valore.
Il green pass sarebbe dunque misura “coercitiva e discriminatoria”, un “attentato” alla libertà personale.
L’uso spregiudicato delle parole porta a equivoci, crea confusione, impedisce di seguire il filo del ragionamento. Le regole che si introducono, in qualunque campo, operano inevitabilmente delle distinzioni tra le persone. Ma non è questo il punto. Né ciò basta per definirle affrettatamente discriminatorie verso qualcuno.
Occorre chiedersi se quelle regole siano giustificate da ragioni plausibili, da evidenze pacifiche, da scopi condivisibili. Non è una differenza da poco.
Per guidare, è richiesta la patente. Ma la norma non discrimina chi non ha e non vuole avere il documento perché non gli va di frequentare la scuola-guida o non dovrà mai guidare una macchina. Puoi benissimo non averla, ma se intendi metterti al volante devi sapere le regole sulla circolazione e devi aver fatto pratica. Tutto qui. La patente? Non un obbligo, semmai un onere.
È il principio che vale oggi per andare al cinema, frequentare la palestra, partecipare ad un evento qualsiasi. E vale pure per attività che non sono proprio discrezionali e rinunciabili, ma costituiscono un diritto e un dovere, come il lavoro e lo studio.
Contro le possibili obiezioni, va osservato che la libertà di non vaccinarsi prima di andare in ufficio o in fabbrica, o prima di entrare in un’aula, non può avere la stessa tutela della libertà opposta, quella di vaccinarsi. Per la semplice ragione che è pericolosa per la salute pubblica. Puoi fare come ti pare se non ha contatti con il prossimo. Ma, se lo frequenti, devi adottare misure che proteggano l’incolumità altrui.
Con una maggiore attenzione alle parole, sarebbe naturale comprendere un principio: la libertà è sempre soggetta alla legge, è regolata dal diritto, in modo che il suo uso individuale non nuoccia ad altri. Quella invocata dai “contestatori” (i no-green pass e prima i no-mascherine, i no-lockdown, no-qualsiasi altra cosa venisse prescritta) non è libertà ma arbitrio, dimensione svincolata dal senso di responsabilità e dal dovere di solidarietà verso gli altri. Non esiste libertà possibile e legittima che non abbia limiti.
Nella pandemia, il nesso tra libertà individuale e responsabilità collettiva è apparso indissolubile. Abbiamo toccato con mano, vedendo tanti morti intorno, constatando quanti potessero infettarsi nell’imprudenza dei contatti e nella spensieratezza dell’avventura, quanto la libertà sia intrinsecamente costruita sui caratteri della solidarietà.
Si è veramente liberi proprio osservando la legge, non violandola. Il rispetto delle regole difende noi stessi e la salute degli altri: un doppio risultato, che rende possibile la salvezza di tutti e apre per ciascuno alla dimensione del fare. Così, possiamo sottrarci al pericolo delle malattie, agli effetti delle infezioni, allo spettro della morte dopo il contagio. È solo la legge che ci offre la possibilità di continuare a vivere ed avere fiducia nel futuro.
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