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In punta di spada

Donna con il parasole, 1884, Georges Seurat
Un triangolo: le lacerazioni nell’animo di una donna

Racconto
di Paolo Brondi

Sono ritornata a casa da pochi minuti, ho ascoltato sulla segreteria telefonica la tua voce. Ripenso alla splendida fine settimana passata, con Alberto, mio marito: un’idilliaca evasione a Capri. Tinte sfumate, scogli corrosi dalla marea, luminosità diffusa su persone e cose, che chiamava al silenzio, rendendo legittima la tua presenza in me, annullando distanze e ruoli, pacificando l’immaginario ed il reale.
Al ritorno ho trovato la tua lettera, l’ho tenuta per me e l’ho letta e riletta nei momenti liberi, di soppiatto o quasi, immediatamente costretta a dimenticare le emozioni della lettura per lasciarmi assorbire dalle faccende del quotidiano e mantenere un equilibrio tra il desiderio di te e l’altrettanta desiderata esperienza di perfetta sintonia della mattinata.
Disorienta e sgomenta tutto quello che è accaduto. Siamo indotti a interrogarci sul come e perché, anche se quello che è accaduto è, forse, il destino che l’ha voluto. Non possiedo strumenti euristici, di evidenza scientifica come sei uso nelle tue analisi, né la libertà che porta te in ogni luogo, con orientamento preciso, come quella punta di spada rivolta al cuore che ho tanto baciato sul tuo petto e che mi hai raccontato di essertela fatta in tatuaggio quella volta che sei andato in viaggio di studio a Malta.
Ho solo una sensibilità femminile, ricca di sentimenti e della forza dell’amore che mi comunichi. Io sono, mio caro, travagliata da tutto questo incrociarsi di prospettive: mio marito, tu, mia figlia, e, allo stesso tempo, sufficientemente lucida per intimorirmi per quello che dici che io sono. Ho dunque voglia di rivederti per ritrovare in concreto l’archetipo immaginato.

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