lunedì 26 febbraio 2018

Il tempo che trascorre inquieto

Mariana, 1851, di John Everett Millais
Dettagli, colori, rappresentazione: la pittura racconta il mistero dell’avventura umana

Racconto
di Giovanna Vannini
(Intervento di Angelo Perrone)

Dietro quei vetri un mondo, dal quale si faceva accogliere solo quando lei voleva, ne sentiva la necessità, come l’ossigeno che inonda il torace, come l’acqua che bagna le labbra, come alito di vento che si fa spirito, nutre l’animo. 
Era stanca ora: la mente affollata dallo studio, le membra reclamanti movimento. Eppure in quel bisogno di lasciarsi alle spalle una giornata passata davanti allo scrittoio, il desiderio conscio di restarci ancora, perché rifugio di vizi, perché nido tutto suo, perché negli occhi non c'era altro che voglia di lettere, di simboli grafici da continuare a mettere in fila per fame di conoscenza.
Forse, solo un guizzo d’amore e di passione da far trascendere ogni suo controllo avrebbero potuto condurla fuori da lì. Nel mondo. Oltre la vetrata.

(ap) L’arte, anche quando voglia soffermarsi sui particolari della vita, può vincere la tentazione di rappresentarli con un approccio manieristico riscoprendo al contrario il fascino imprescindibile delle pose classiche, lo stesso che ad esempio ispirò la grande pittura del ‘400 italiano. Un’eleganza di composizione per sfuggire alle influenze corruttrici degli insegnamenti accademici, una complessità di tratti per produrre buoni dipinti riscoprendo idee genuine e ispirazioni sapienti: queste le caratteristiche della pittura di John Everett Millais (1829-1896), uno dei fondatori della cosiddetta “Confraternita dei preraffaelliti”.
Un gruppo di pittori, poeti e critici inglesi, che già nel nome esprimeva una concezione dell’arte come ambiente composto da artisti legati da un vincolo solidale e fraterno, e, quanto all’ispirazione, refrattario ai luoghi comuni, alle pose di tipo convenzionale, in nome di un’idea artistica virtuosa e nobile, così tipica dell’esperienza italiana a cavallo tra medioevo e rinascimento (Raffaello e poi Michelangelo), specie nel campo delle immagini religiose.
Un profilo alto della rappresentazione umana, per la classicità delle impostazioni, e nello stesso tempo così ricco di dettagli, di particolari anche minuti e impercettibili a prima vista, in grado però di offrire immagini straordinariamente ricche e articolate. Le quali richiamano non solo simboli di tipo religioso come quelli diffusi nel ‘300-‘400 ma anche altri, tratti dalla vita terrena, quel coacervo di sentimenti, drammi, aspettative, che attraversano spesso l’esistenza e trovano nella letteratura di ogni tempo un campo espressivo.
“Mariana”, il dipinto ad olio realizzato da John Everett Millais nel 1851, rappresenta appieno questa concezione dell’arte come esperienza non dogmatica, creazione nobile dell’animo umano, e perciò sintesi ineffabile delle sue inquietudini, che non solo la pittura, ma ogni forma artistica prova a raccontare. Colpiscono in questo dipinto l’abbondanza dei dettagli, l’intensità dei colori, la complessità della rappresentazione. Che sono espressione tanto della libertà dell’artista di realizzare l’opera secondo la propria sensibilità, quanto di quel senso di responsabilità individuale – così sentito durante il romanticismo europeo dell’800 – anche nella vita artistica.
Lo sguardo, durante la visione del dipinto, non si disperde, nonostante i tanti elementi rappresentati. Il quadro è incentrato sulla descrizione del tempo nel suo faticoso e difficile trascorrere, tra attesa e inquietudine. La posizione arcuata della donna ne descrive un momento di stanchezza: prima era intenta a ricamare davanti alla finestra che dà sul giardino fiorito, seduta sulla panca di velluto rosso, poi si è alzata per sgranchirsi il corpo, e trovare sollievo prima di riprendere, forse, il lavoro. È rimasta seduta troppo a lungo, evidentemente, nella stessa posizione, perché il lavoro è durato parecchio, e proprio la grossezza del rotolo di stoffa ricamata indica quanto tempo è passato, e quanto forse dovrà ancora trascorrere in un’attesa che potrebbe risultare inutile.
Il dipinto reca lo stesso titolo di un personaggio di William Shakespeare, la solitaria Mariana di “Measure for Measure”, che, avendo perso in un naufragio la sua dote, non poté sposarsi e fu rifiutata. Non solo una coincidenza quel nome. Quasi il medesimo destino ricorre nello spettacolo shakesperiano e nel ritratto di John Everett Millais. La stoffa ricamata a lungo rispecchia la faticosa raccolta dell’indispensabile dote; la stanchezza della donna allude alla perdita del pegno d’amore e all’inutilità dello sforzo per coronare il proprio sogno di vita. D’improvviso cambia persino il significato di quella tenda-finestra fiorita davanti alla quale si pone la donna: non più preannuncio di felicità, ma barriera, linea di chiusura e di restrizione, intrinsecamente inquietante.
La pittura si intreccia con la creatività propria della letteratura, trae spunto ed ispirazione dai racconti di scrittori e poeti, ne rimane affascinata conservandone memoria, e prova a riprodurre, con altre forme, l’eterno dilemma della vicenda umana. Il dipinto in sé sembrerebbe subire il limite di dover rappresentare soltanto una scena tra le tante, frammento isolato di un mosaico ben più ricco ed articolato. Non è così.
Il numero e la qualità dei dettagli, la tecnica di messa a fuoco di essi, la ricchezza brillante dei particolari offerti (compreso quel minuscolo topolino che cerca di nascondersi fuggendo dal quadro stesso) raccontano che la pittura sa andare oltre questo limite. La tela, che era concentrata sulla percezione di un solo istante, si apre al mondo; offre, come la letteratura ed insieme ad essa, trame intriganti e complesse, storie che non si limitano all’attimo fuggente del presente, ma richiamano il passato e fanno presagire il possibile futuro. Una narrazione che permette al lettore di riconoscersi, e lasciarsi andare al mistero e all’avventura. 

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