venerdì 22 febbraio 2019

"Modica quantità", il falso problema nello spaccio di stupefacenti

L’intervento del ministro leghista Fontana sulla “modica quantità” di droga dimostra quanto sia confuso l’approccio a problemi tanto complessi. L'emergenza richiederebbe una chiara strategia nella prevenzione e repressione 

(ap*) Droga, torna lo scontro sul concetto di modica quantità, mentre è sotto gli occhi di tutti un’emergenza, che mescola fenomeni diversi: diffusione delle sostanze, smarrimento di valori, prostituzione giovanile, vivere civile degradato.
I numeri non bastano a dar conto di un fenomeno che investe ogni strato sociale perché la circolazione delle droghe non è mai diminuita, piuttosto si è allargata per la facilità di accesso alle fonti, la riduzione dei prezzi delle sostanze e la moltiplicazione dei canali di spaccio. Il cambiamento allarmante è l’abbassamento dell’età media dei consumatori, e non vi sono troppe distinzioni di genere, ormai la droga è molto diffusa anche tra le giovanissime.
A riattivare le polemiche, che hanno lasciato sullo sfondo la complessità dei problemi (lotta allo spaccio e terapie contro le tossicodipendenze), un deciso intervento del ministro leghista della famiglia Luciano Fontana sul più scivoloso dei concetti, quello appunto di modica quantità di droga.
Certo vi sono anche propositi di migliore assistenza ai tossicodipendenti e alle loro famiglie, ma espressi in modi singolari, solo una questione di linguaggio?, che hanno fatto pensare più ad un’esigenza di tutela della società contro l’indistinto mondo delle droghe che ad una strategia di prevenzione e cura. “Bonifica ambientale” per indicare l’allontanamento dei tossicodipendenti dai luoghi (inquinati) di origine, “trattenimenti coatti” per descrivere l’obbligo di residenza in luoghi di disintossicazione.
Ma soprattutto vi è l’annuncio di un giro di vite nella legislazione penale in materia di stupefacenti, senza peraltro indicarne gli obiettivi, e, punto dolente, una imprecisata modifica del concetto di modica quantità, additato come il più critico e discutibile della normativa, che infiniti mutamenti hanno reso più complessa e meno efficace.
Per quanto l’intervento abbia riattivato il dibattito, proprio la genericità della posizione del ministro sugli scopi della revisione legislativa ha determinato una moltiplicazione degli argomenti di discussione: le strutture pubbliche di prevenzione e assistenza dei tossicodipendenti, il ruolo delle comunità terapeutiche, le istanze di liberalizzazione delle droghe, la lotta di strada allo spaccio, i cartelli sovranazionali che gestiscono il traffico delle sostanze.
L’assenza di una chiara visione strategica in vista di una riforma della legge è resa ancor più manifesta dall’approccio confuso con il quale si è fatto riferimento alla nozione di modica quantità.
Tanto da legittimare più di una domanda a cominciare dai contorni stessi di questa nozione all’interno della disciplina degli stupefacenti. E poi, qual è la sua importanza per consumatori o spacciatori di droga? E soprattutto: è davvero questo il punto dolente della normativa?
Gli strali del ministro contro la modica quantità derivano innanzi tutto dal fatto che a suo dire faccia pensare che “ci sia una quantità ammissibile di droga” e che “un pochino ci si possa drogare” e poi dalla constatazione che costituisca “un aiuto prezioso per gli spacciatori” indotti a non farsi trovare con quantitativi superiori, circostanza che impedirebbe di “toglierli dalle strade”.
Due chiavi di interpretazione di segno del tutto diverso. Da una parte, il ministro ricava dall’aggettivo “modica” un significato positivo attribuito poi al sostantivo “quantità”, come se parlare di “modica quantità” equivalga a definire buona e salutare la sostanza stessa.
Una interpretazione alquanto audace: non si comprende che cosa giustifichi questa deduzione, e cosa possa indurre i giovani a ritenere che almeno un po’ ci si possa drogare. Né è dato sapere se l’intenzione, a questo punto pedagogica, del ministro si limiti ad un intervento solo linguistico sull’aggettivo oppure a qualcosa di più radicale.
Dall’altra invece si parla d’altro e si fa riferimento ad un fatto reale, molto diffuso e certamente preoccupante, lo spaccio di piccoli quantitativi, per denunciare i limiti in cui incappa regolarmente l’attività di repressione degli illeciti. Ogni giorno spacciatori arrestati con pochi grammi di droga sono scarcerati in 24 ore dai giudici.
Solo che qui, per quanto si citi un fatto estremamente preoccupante e meritevole di intervento serio, si individua la causa della distorsione nel concetto di modica quantità piuttosto che nei meccanismi giudiziari che regolano l’arresto e le misure cautelari rispetto a fatti di questi tipo.
In entrambi i casi, si dovrebbe almeno partire da una precisazione che riguarda l’inquadramento normativo di questa modicità di quantitativi. Diversamente da quanto suppone il ministro, non vi è una norma di questo tenore giacché con l’espressione si usa convenzionalmente indicare una fattispecie penale (art. 73, 5° co. dpr 309/90) che disciplina fatti oggettivamente di minore gravità nel fenomeno di spaccio o detenzione illegale di sostanze, e per questo definiti appunto di “lieve entità”. Ciò per effetto di una serie di parametri, come le modalità e i mezzi dell’azione, la qualità e quantità delle sostanze.
Non si tratta soltanto di una pedante questione terminologica, ma di chiarezza di contenuti, infatti in difetto di essa il ministro intravede nella modica quantità addirittura una legittimazione del consumo di droga, un permesso statuale all’uso delle sostanze, in una parola un incentivo alla liberalizzazione – questa certamente inammissibile – delle droghe.
Invece si tratta di altro, dunque due precisazioni. In primo luogo, il fatto di lieve entità (o se si vuol chiamare, per semplicità, modica quantità) è comunque un reato pur riguardando piccoli quantitativi. Sostanze spacciate o semplicemente detenute dal soggetto, ma a condizione che siano destinate alla cessione a terzi, non semplicemente al consumo personale (sarebbe solo un illecito amministrativo).
Dunque si può dire che l’espressione contestata non si accompagna affatto ad un giudizio positivo di valore né può rappresentare un incoraggiamento a drogarsi. Ugualmente improprio è criticare la fattispecie per deplorare che tanti spacciatori di piccoli quantitativi siano rimessi in libertà subito dopo l’arresto. E’ un dato di realtà che lo spaccio possa riguardare tanto grandi quanti piccoli quantitativi di sostanze.
Certo, la furbizia degli spacciatori è quella di non farsi trovare con troppa droga addosso e per questo motivo si ricorre al frazionamento minuzioso delle sostanze, nascoste ognuna nei posti più disparati in modo da rendere difficile il sequestro e la ricostruzione del giro degli affari illeciti. E’ meglio essere accusati di piccoli episodi che di un grande traffico.
Ma la ragione per la quale i piccoli spacciatori escono di galera subito dopo l’arresto non dipende soltanto dalla quantità delle sostanze possedute, quanto dalla combinazione dei presupposti che disciplinano in questi casi la detenzione in carcere. Un garbuglio di regole non solo fortemente restrittive ma anche limitative per i giudici della possibilità di valutare caso per caso l’effettiva gravità dei fatti e la personalità dei soggetti.
Così per le piccole quantità di droga le pene previste sono “troppo basse” perché sia possibile mantenere in carcere gli spacciatori arrestati, e più generale sono “troppo alte” le pene per le quali la legge consente di adottare la più grave delle misure cautelari, appunto la custodia in carcere.
Dunque più che mettere in discussione un dato delle realtà qual è il fatto che la droga possa circolare anche in piccole quantità occorrerebbe prendere atto dei limiti di una disciplina che, non solo in materia di droghe, limita irragionevolmente le possibilità di contrasto delle illegalità. Liberare le strade dagli spacciatori è possibile ma bisogna avere idee più chiare nell’individuazione dei mezzi per farlo.

* Leggi La Voce di New York:
L’intervento sul tema del ministro leghista Fontana dimostra quanto sia carente l’individuazione degli strumenti di prevenzione e repressione del fenomeno

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