martedì 25 febbraio 2020

Capo Nord, l'ultima grande avventura in Europa

Il punto europeo più a nord via terra, in Norvegia. Un altro ambiente: la tundra, il popolo Sami, le renne, gli altopiani, i fiordi. La neve, d'inverno. Il gelo ha plasmato natura e uomini. Un paesaggio rarefatto, avvolto da silenzi, immerso nella luce boreale

(ap) Hai la tempesta alle spalle. Ti sembra proprio così, di aver dimenticato il vecchio mondo e di scoprirne un altro completamente nuovo quando arrivi in questo lembo, tante sono le diversità con le cose che conosci. Quelle che ti stordiscono e allarmano, e qualche volta ti vezzeggiano.

Lo ricorda il poeta norvegese Olav H. Hauge nei suoi versi: c’è uno stato tempestoso dell’animo, che ti impedisce persino di pensare, ma c’è anche la tranquillità d'ogni giorno in cui le inquietudini sembrano ormai appartenere al passato. Poi il quotidiano ti regala all’improvviso altre realtà. Ci sono davvero posti di questo genere?
E’ possibile lasciarsi i macigni alle spalle? Quel magma oscuro che ogni giorno ti tallona senza tregua e che devi affrontare per sopravvivere a te stesso. Ombre che ti ostacolano e di cui non riesci a liberarti. Non domandarti, ora che sei qui, e tutto ti appare cambiato, quanta strada hai fatto. Né come l’hai percorsa. O con quale mezzo sei arrivato.
Altri l’hanno fatto prima di te in condizioni ben più faticose, o lo fanno tuttora, sono in cammino ancora adesso. Ti sono accanto, condividono il tuo percorso, ti stanno parlando, ti tendono la mano, se per caso inciampi o scivoli.
Ti sembrerà breve o lunga la strada percorsa, dipende: da te, dai tragitti che hai scelto, dalle persone che hai incontrato. E con le quali ti sei fermato a discorrere. Perdendo tempo. O ricavandone un beneficio, che magari, con il sollievo ricevuto, ti ha fatto tardare ancora di più, senza però che te ne pentissi. O tutte e due le cose insieme.
Ora sei qui, e conviene approfittarne. Guardati intorno, ascolta il silenzio, osserva la curva dell’orizzonte, spingi lo sguardo oltre la linea del mare. Puoi riuscire ad immaginare che, oltre, ci sia addirittura un’altra metà della medesima terra che hai sotto i piedi? Uguale nelle dimensioni, ma completamente diversa per lingua e costumi; volti che non hai mai visto. Soltanto le stesse temperature, almeno sul momento, a farti credere che tutto sia uguale. Ma non è così.
Un altro mondo potrebbe esserci, che ora ti sembra lontano e sfuggente. Gente che non conosci. Come questa del resto. Che almeno hai qui, non molto distante da te. Esiste davvero qualcos’altro, oltre questo freddo? Visto da qui, sembra che non ci sia più nulla, che tutto finisca tra i ghiacci, lingue taglienti nel mare. Un freddo sferzante. Siamo ad un limite che pare estremo.
Ci sono molti segnali. A farti pensare che ogni cosa finisca in questo posto, persino un globo innalzato su una grossa base di cemento, nel punto estremo. Come dire: puoi arrivare qui, poi tutto finisce; questa è la nostra immagine insieme. L’ultima che ti rappresenta e che, se vuoi, puoi portare con  te.
È inclinato il globo, a segnalare l’angolazione stramba attraverso cui il sole ci guarda in questo posto. Il giorno è soprattutto chiarore diffuso, piuttosto che splendore imponente. Non l’unica stranezza da queste parti.
Un tempo era affannoso e incerto raggiungere questi luoghi, lo si faceva a piedi, i più audaci con le slitte trainate da renne bizzose ma fedeli, gli altri per mare con battelli che sembravano veloci e sicuri, ma che dovevano rallentare di continuo: rompere i ghiacci era un’avventura.
Molti non ci arrivavano neppure, si perdevano lungo il tragitto. Chissà quanti, tra queste distese di neve. Così lontani quei momenti. Difficili da immaginare, da comprendere. Cose forse mai avvenute, tanto sono incredibili, anche se si leggono sui libri. Ma chi ha potuto raccontarli, dopo?
Ora tutto è facile: aerei, treni, bus. Abbiamo approfittato di comodità pure noi, gli aerei, i bus riscaldati. E anche in mare i ghiacci sono meno compatti. Per via del riscaldamento globale che ha sfaldato i lastroni, vincendo la battaglia contro la rigidità della materia meglio degli uomini.
Non fanno perdere tempo né mettono più paura quegli speroni in acqua. Possono essere docili, volendo. Rimane però il senso della distanza, della diversità, di essere altrove rispetto alla vita quotidiana. Nulla ti riporta con la mente all’indietro, al luogo da cui sei partito. Alle tue abitudini.
Ormai è fatta, non c’è più nulla a trattenerti. Il vecchio è passato. Forse invano oppure fruttuosamente. Hai modo di scoprirlo facendo questa strada. Conviene che tu proceda, che non rallenti. Magari, se puoi, accelera il passo. Proprio in direzione Nord, verso quel globo inclinato che ti appare come un traguardo.
Ma è una meta effimera. A picco sul mar glaciale artico, l’ultimo punto raggiungibile via terra. Serve che tu faccia un altro tratto di strada per arrivarci. Che ti inoltre nella neve davanti a te, così alta, intatta, bianchissima. Che ti soffermi lungo il tragitto, a guardarti ancora una volta intorno, senza smarrirti.
Di questa stagione invernale non vedi mai il verde dei prati o il grigio delle alture. Tutto è bianco, spalmato sugli altopiani, una distesa di colore chiaro che invade i boschi di conifere. Mano mano che procedi, sono sempre più esili le betulle, altrove così diffuse. Soffrono a sopravvivere. Spariscono via via là sotto, nel bianco.
Altopiani, piuttosto che montagne, questo l’orizzonte. Pianure, anziché speroni aguzzi di roccia. Non ci sei abituato. Nella mente la neve si abbina alle altezze. La morbidezza di questi orizzonti dovrebbe essere meno impressionante delle asperità montane che sfidano il cielo. E’ un inganno. Scopri che a inquietarti possono essere anche linee tranquille. Quando disegnano un vuoto così vasto. Sono luoghi che accusano una perdita di presenza umana.
Dove sono le tracce di altre persone? Scarne le indicazioni stradali. Non servono forse. Pochi si avventurano fin qui o hanno bisogno di indicazioni? Non ti fanno compagnia neppure i cartelloni pubblicitari. A casa tua, fastidiosi, distraenti, però familiari: qui la legge li vieta per tutelare il paesaggio. Peccato, ti farebbero compagnia, alleggerendo l’ossessione solitaria della guida.
Sbuca da lontano qualche veicolo, te ne accorgi solo se per caso ti capita di guardare da quella parte, procede in silenzio, ha un motore elettrico non a combustione. Intorno, poche case dai colori vivaci (rosso, blu cobalto, verde) sono sparse sulle colline. Circondate da neve, senza entrate libere. Non ci sono luci accese all’interno, né auto accanto. I camini sono spenti. Nessuno intorno.
Difficile abitarvi di questi tempi, viene da pensare. Infatti per lo più sono ripari per gli allevatori di renne, utilizzate nelle stagioni calde, in cui gli animali vengono condotti in queste zone a brucare l’erba, cresciuta a fatica dopo le gelate.
Da qualche casa, isolata o disposta nei pochi centri abitati, fuoriesce un po’ di luce. È una sorpresa che ti rallegra e ti induce a soffermarti con lo sguardo. Oltre alle pareti esterne delle case, sono illuminate con molta cura le finestre: piccoli globi luminosi pendono dal bordo superiore, oppure sono appoggiati sulla balaustra. Sembra una abitudine molto diffusa creare questi giochi di luce. E’ un’illuminazione rivolta verso l’esterno, che non serve tanto alle esigenze della casa. Certo un segno che qui la vita continua a scorrere, come altrove. Soprattutto, un cenno di saluto ai passanti.
Proverai freddo, le mani si ghiacceranno, avrai la sensazione di non farcela. Perché non sei abituato a tutto questo. Vieni da un altro mondo, il caldo, la gente per strada, i luoghi pieni di rumore. Un ambiente differente. Tutto ti sorprende qui, altre sono le abitudini: giacconi imbottiti, scarponi, guanti, abiti sempre pesanti, corpi nascosti dagli indumenti. Ricordi i vestiti leggeri? Il sudore di certe giornate caldissime? Il sole alto ed abbagliante? Mantieni pure quelle immagini nella memoria. Non trovi nulla di simile.
Il sole non è mai una palla di fuoco, ma un pallido disco d’argento. Rimane sempre sul margine dell’orizzonte, non ha la forza di sollevarsi e di raggiungerti sul capo. Emana una strana luce soffusa, riflessa sulla neve. Già prima dell’alba. Il giorno è solo un chiarore avvolgente ed irreale. Attraversato da silenzi.
Se sei abituato a guardare sempre l’orologio per il timore di fare tardi, sappi che in questo avamposto puoi smettere di vivere in fretta. I bambini andranno pure a scuola e gli adulti saranno anche impegnati nel lavoro. Tutto, come in ogni altro luogo della terra. Ma qui il tempo sembra essersi fermato. E non smetti di rimarne stupito.

(foto ap)

1 commento:

  1. ...ci vuol coraggio a sostener quei vuoti senza interrompere lo sguardo, domare l'ansia che spalanca il cuore in un respiro solo...
    Maria Cristina.

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