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L'attrice

Questa sera si recita a soggetto, di L Pirandello
Racconti dedicati a figure moderne e antichissime. Sempre esistite in forme svariate, evocano suggestioni e pongono interrogativi. Oggi, l’attrice.

di Laura Maria Di Forti

(ap) La parola, il gesto, il canto, la danza: ciascuno, da soli, oppure in combinazioni diverse, secondo strutture narrative lungamente studiate e poi tramandate, a volte invece soltanto improvvisate, estemporanee, suggerite dal caso. Il teatro, nelle sue multiformi manifestazioni, è storicamente all’origine di ogni evento umano in cui si compia una “rappresentazione”.
Precede qualsiasi fenomeno analogo: il cinema, la tv, per non dire i moderni social. Tanto che, nell’antichità, la verità di quanto si svolge sul palcoscenico ha innanzi tutto una valenza sacra, attesta dei misteri, raffigura in forma di spettacolo un valore che non è analogico, ma mistico, rende presente tra gli umani forze oscure.
E spetta all’attore il compito arduo d’essere singolare sacerdote di questo rito, che è profano ma rivestito di sacralità. Strumento della trasmissione di un messaggio sconosciuto a lui stesso: dall’ignoto al noto, visibile e percepibile da tutti, in primo luogo gli spettatori che partecipano all’evento.
Poi l’uso di questa trasposizione è transitata in mille altri contesti, moderni ed attuali, che hanno un elemento in comune. Può essere un personaggio, oppure un’immagine, un simbolo, una cosa. Dei soggetti si propongono all’attenzione degli spettatori; degli oggetti sono offerti in visione a passanti o interessati: in ogni caso, persone o cose valgono non tanto “per sé”, quanto “per altro”.
Significano sentimenti e ragionamenti, esprimono suggestioni che rimandano a realtà differenti, che appartengono a persone o cose di tutt’altro momento storico o luogo. Illustrano qualcosa di diverso rispetto alla natura che li rappresenta.
Un’ambivalenza che crea continua oscillazione, inquietudine ed contraddizione nell’umanità di chi – attore o attrice – compie il rito della rappresentazione su un qualsiasi palcoscenico: di periferia o di una grande città, dal vivo o attraverso le riprese tecnologiche più evolute.
Nei teatri, si respirano il legno e i broccati, i pesanti tessuti di scena; si ascoltano i rumori di stretti corridoi e angusti camerini, e i brusii del pubblico; ogni volta, si forma la scena con le parole e i movimenti dei protagonisti. La recita colpisce l’immaginazione, fa riflettere, diverte. “Essere un personaggio“ secondo le proprie fantasie e sensazioni, questa la magia che si realizza sulle tavole scricchiolanti del palcoscenico: immerso in un presente sempre uguale e tuttavia diverso, l’attore dà vita al più incredibile e contraddittorio dei riti, essere sé stesso e nello stesso tempo un altro.

Il mio è un mestiere bellissimo, ricco di emozioni e di inebrianti sensazioni. Sono un’attrice di teatro. Adoro immergermi in una nuova situazione, immedesimarmi in un nuovo personaggio, respirare l’aria che respirerebbe la protagonista della commedia, guardare le cose con gli occhi di lei, farmi carico dei suoi dolori e delle sue paure.
Io posseggo la capacità di prendere altre forme, altre vite diverse da me, fuori da me. Un’altra identità, quella di una donna ingannata o di una perfida traditrice o quella di una donna forte, decisa, dinamica. Ho la possibilità di scegliere chi voglio essere e conosco la sottile sapienza di influenzare la platea, portarla al pianto, colpirla con il pugnale del dolore e della sofferenza.
Arte. Passione. Curiosità. Sì, ogni recita è l’occasione per mostrare la mia bravura, la dimostrazione della mia poliedricità, camaleonte magico che prende ogni colore incontri.
Posso essere un’altra persona e gettare nell’oblio il mio dolore, quello vero, reale, che voglio ignorare e rinchiudere nella cassaforte della dimenticanza, stretto, chiuso ermeticamente a chiave. Meglio essere un’altra fuori da me, essere una donna diversa, una donna bella e piena di slancio ad esempio, ricca di desiderio e di voluttà, con la sua sete e la sua passione. Poi, potrò essere qualcun'altra, con altre voglie e altri umori e diversi desideri.
Sono un guitto, un saltimbanco che ha bisogno di fare le piroette di fronte al pubblico, altrimenti muore. Nessuno può farci nulla, ed io non so fare altro.
Talvolta però mettere una maschera e poi toglierla è troppo faticoso. Allora mi sembra di essere un clown che a stento toglie il cerone bianco dal viso, il rosso dalla bocca e il grosso naso finto. Ma vado avanti lo stesso, continuo la mia recita fino alla fine, sempre.
Siamo saltimbanchi noi attori, istrioni e buffoni, ciarlatani e commedianti. Votati all’arte del teatro, l’arte della finzione, quella sottile e perversa voglia di nascondersi dietro ad una maschera, comica o tragica poco importa. Impostori pronti all’applauso finale, esibizionisti di fronte alla platea plaudente.
Arte? Ipocrisia invece! E vanità. Sì, certo, vanità! Perché l’emozione di ammantarmi di un personaggio è travolgente. Come una tempesta che tutto sconquassa, come un uragano, come l’amore, la passione cieca, il desiderio allo stato puro.
Il profumo. Il profumo del teatro. La sensazione che sul palcoscenico, sopra quelle assi che talvolta si sentono scricchiolare, lì, e solo lì, si respira la vita.
Anche se in teatro recito, anche se metto la maschera della finzione e quello che dico non è frutto della mia disperazione o della mia gioia, le parole che declamo hanno il profumo della verità. Risuonano sul palcoscenico trasformate dalla mia voce e, nel pronunciarle, le faccio mie, facendole uscire dal cuore e non solo dalla bocca e facendole passare attraverso l’anima e quindi intingendole nel mio stesso sangue. E allora quelle parole sono vive.
Il teatro con la sua magia e l’incanto della metamorfosi. Certo, recitare su un palcoscenico a diretto contatto col pubblico che ti giudica e potrebbe stroncarti, ucciderti perfino, è un pensiero che mi atterrisce ancora. Uccidere? Certo, limitandosi a non applaudire.
Fare a meno del teatro? Non potrei, mai. Questa è la mia vita. Sono nata per il teatro, per la recitazione, per il bisogno di essere un’altra, per la capacità di coprirmi di gloria o di infamia, di cospargermi di pietà o di odio, di ricoprirmi di amore o di indifferenza.
Inganno. Imbroglio e finzione. No, è illusione invece, è un artificio meraviglioso, è fantasia, è commedia. È magia ed è arte.

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