Il tema del perdono è al centro del film “Una figlia”, con Stefano Accorsi come protagonista e per la regia di Ivano De Matteo. Accorsi, che interpreta la figura del padre, offre un’interpretazione intensa e drammatica, assieme a quella di Ginevra Francesconi, che rende molto bene la discesa negli inferi di sua figlia.
Il padre, vedovo, ha cercato di rifarsi una vita con una giovane donna, sono innamorati, c’è un futuro che li aspetta.
Ma la figlia non sopporta questa nuova figura femminile nella sua casa, e una sera fa qualcosa di terribile ed irreparabile. Un secondo di follia, come fosse un videogame. Per la figlia si apriranno le porte del carcere, e il regista sembra portare lo spettatore dentro la sua cella, assieme alle altre detenute, partecipe dell’abisso in cui è caduta.
La nuova realtà del padre è da tragedia greca, oltre ogni immaginazione. Un urlo che farà fatica ad uscire. Odia la figlia, per avergli portato via la donna che amava. Il perdonarla significherebbe non rendere rispetto alla compagna e al suo dolore di uomo. Lui non si sente più un padre, dice che non ha più una figlia. Il suo dolore di uomo prevale su tutto.
Poi i fili si snodano, accadono eventi, qualcuno suggerisce un riavvicinamento del padre alla figlia, che ha bisogno di lui.
Il film, duro e realista, solleva interrogativi, non offre soluzioni, e comunque, qualsiasi possa essere il finale umano e giudiziario della giovane, il padre è distrutto. La figlia è una ragazza fragile che non ha metabolizzato la perdita della madre, lui non si è accorto del suo disagio profondo. Ma è pure una realtà come tante, in cui i rapporti spesso sono superficiali, e i genitori hanno difficoltà di dialogo con i figli adolescenti, dialogo a volte impossibile.
Una frase finale rimane nella mente: “Un genitore non può mai smettere di essere genitore, qualunque cosa accada.” Verità profonda, che include la rabbia, lo sgomento e forse alla fine il perdono.
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