venerdì 14 luglio 2017

Il buono che è in noi

Rimorsi, vergogna, incubi: espressioni diverse del senso di colpa. Da contrastare, per non essere sopraffatti

di Sonia Scarpante
(Tratto dal contributo inserito nel libro Medicina narrativa, a cura di Marilena Bongiovanni e Pina Travagliante, Angeli editore, 2017)

Non sai realmente cosa ti è capitato, provi un senso di vergogna, ti senti sporca, senti l’odore di quella persona, il respiro, continui a lavarti le parti intime sperando di svegliarti da quell’incubo, ma non è così, anzi, ti senti colpevole perché pensi che la colpa di tutto ciò sia tua.
Cerchiamo di capire e di capirci, nel superamento delle sbiadite immagini del nostro album autobiografico. Mettiamo a nudo un altro aspetto delicato e complesso sulle zavorre psicologiche che ci impediscono di vivere appieno e con slancio il cambiamento: il senso di colpa.
È un complesso che riguarda tutti, vissuto con timore o con angoscia; è impalpabile ma ci ruba energia vitale, non ha peso eppure riesce a catalizzare i nostri pensieri e a incatenarli.
Ci fa sentire colpevoli ingiustamente, ci mette addosso responsabilità per qualcosa di male che crediamo di aver commesso; nei casi più gravi ci induce a chiedere o a vivere una punizione esemplare. Più spesso, nel nostro agire quotidiano, si presenta con una debole o grave sensazione di rimorso che ci costringe a continue ma superflue giustificazioni.
Molto spesso non riusciamo a capirne lo spessore e la portata distruttiva per il nostro equilibrio o per i cambiamenti che la vita ci richiede in continuazione. È necessario parlarne, quindi, proprio per evitare d’esserne sopraffatti, per impedire a questo sentimento di distruggere anche il buono che c’è in noi, così faticosamente accumulato.
Si presenta come una fragilità sfuggente, difficile da definire, un quid che riconosciamo solo quando inizia a paralizzarci nelle azioni che vorremo intraprendere se una sensazione spiacevole di inadeguatezza non ce lo impedisse, se il sospetto di far del male a qualcuno, a causa del nostro osare, non ci reprimesse a tal punto.
Per questo, diviene imprescindibile parlarne, raccontarcelo, individuarne l’aspetto che ha per noi a partire dal racconto che ne fanno gli altri: riuscire a definirlo è indispensabile per tracciarne i confini, limitarne le conseguenze, ridimensionarlo per gestirlo meglio.
È vero, si tratta di un senso sfuggente, che si diverte a confonderci, ma basta imparare a riconoscerlo pubblicamente, a capirne l’origine, e il suo potere negativo lentamente si sgonfia, i pensieri ci si semplificano ed ecco che la realtà conflittuale di ieri si fa meno dura da sopportare.

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