martedì 12 dicembre 2017

La prima volta, in un carcere

Le sbarre, la disperazione, lo studio. Quegli occhi pieni di felicità dopo un esame superato

di Cristina Podestà 
(Commento a Inferriate, PL, 8/12/17)

Nell’estate del 2015, ero commissario esterno di italiano per l'esame di stato anche nelle carceri di Massa. Mai entrata in precedenza in un carcere, e il primo giorno rimasi perplessa. Controlli, deposito di borse, pc, cellulare, il personale molto serio ed educato ma distante, gli alunni adulti (chi più chi meno), diffidenti, insomma un ambiente strano.
I colleghi interni ci tenevano a far capire agli esterni che era tutto normale e sotto controllo ma io, e non solo io, non ero serena. Poi, nei giorni a seguire, tutto si sciolse. E, soprattutto gli alunni carcerati ci raccontarono le loro esperienze di vita travagliata, le loro colpe, i nuovi progetti per quando fossero usciti da lì.
Uno di loro in particolare, il giorno della prova orale, piangeva forte. Mi avvicinai e lui, chino sulle sbarre della finestra, rispose alle mie domande dicendo che, se non avesse superato la prova in modo brillante, avrebbe perso la pur minima fiducia che la figlia adolescente aveva riposto in lui e che era stata proprio la ragazza a spronarlo allo studio.
Dalla stanzetta guardavo fuori. E lui, accanto a me, in lacrime, di una sofferenza a me sconosciuta ma reale e palpabile. L'esame andò abbastanza bene. Lui ci ringraziò fino ad essere invadente, nei suoi occhi chiari lessi la felicità.
Massimiliano, così si chiamava lo studente carcerato, mentre si appoggiava alle inferriate, sembrava volerle torcere con la forza della disperazione.

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