(Angelo Perrone) Il Ministro Nordio, oggi campione della separazione delle carriere in magistratura, firmò nel '94 un appello contro tale riforma, difendendo l'unicità e l'arricchimento derivante dal passaggio di funzioni.
La sua attuale posizione, da lui definita un "sogno" dal '95, contrasta clamorosamente con quel passato.
Ciò che rende questo ribaltamento ancora più singolare è la sua spiegazione: il cambiamento sarebbe avvenuto a seguito del suicidio di un indagato.
Sebbene un evento tragico possa scuotere, la separazione delle carriere è un pilastro dell'ordinamento giudiziario. Un rovesciamento ideologico così radicale dovrebbe scaturire da ampie riflessioni sistemiche, non da un singolo episodio, per quanto doloroso.
Questa motivazione solleva dubbi sulla fragilità emotiva e intellettuale alla base del processo decisionale. Un ministro della Giustizia dovrebbe basare riforme costituzionali su analisi robuste e principi condivisi, non sull'impatto di un aneddoto. Un tale approccio, che privilegia l'esperienza personale sulla complessità del sistema, appare limitante e rischia di presentare una rappresentazione inadeguata del processo di elaborazione di una riforma così cruciale. La credibilità della decisione, e la fiducia nella politica giudiziaria, ne escono indebolite.
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