domenica 17 maggio 2020

Silvia Romano e l'Islam: trovare Dio?

Tra gli insulti, la storia personale di Silvia Romano convertitasi all'Islam

di Sonia Scarpante *
(Commento di Angelo Perrone)

(ap) I segreti e ciascuno di noi. Possono esserci strade che non si incontrano mai. Proseguono senza uno sbocco, che sveli il fondamento o la mistificazione delle scelte. A Silvia Romano potrebbe succedere di rimanere, ancora una volta, da sola. Con il suo tremendo segreto. Senza saperlo, senza fingere. Senza scioglierlo.
C’è un divieto di giudicare che è sacrosanto se riguarda la persona e i suoi diritti. Altra cosa è la rinuncia alla riflessione sui temi che interrogano tutti. Il dramma di Silvia non riguarda solo lei, ma chiunque abbia a cuore la sofferenza dell’altro, e la sua libertà.

Umberto Galimberti scrive a proposito di Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia: “Forse Silvia si è convertita, forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse per intima convinzione”. E aggiunge: «E allora perché la conversione? Non lo sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la nostra dimensione religiosa. Una dimensione così personale, così propria, così difficile da comunicare, perché quando si ha a che fare con sensi e significati che oltrepassano la nostra esperienza condivisa, ogni discorso, nel momento in cui si offre alla chiacchiera comune, rischia il fraintendimento”».
Le parole di Galimberti ci invitano a non giudicare mai l’esperienza dell’altro, ad aver rispetto sempre e comunque della sua testimonianza. L’esperienza è sempre individuale e mai interpretabile a fondo ma può solo essere accolta nei limiti del possibile. Quante volte nella vita ci è accaduto e ci capita di intravedere risposte certe anche per il rapporto che nutriamo verso noi stessi e capire poi, in seconda istanza, che la vita ci riserva comunque sorprese, realtà anche inimmaginabili?
Quante volte nella vita diamo un giudizio asserendo una nostra verità che poi palesemente viene confutata quando siamo messi a vivere la stessa circostanza e nella medesima prova rimaniamo come annichiliti perché devastati da una sofferenza acuta che non prospettavamo di così vasta entità? La vita ci cambia anche quando non lo vorremmo. Per molti di noi a volte la realtà che ci viene incontro, il vissuto oltre l’immaginabile, le nostre precostituite categorie mentali, il nostro “buon senso”, non regga al pari della vastità della vita, dove nulla è certo, dove assaggiamo continuamente l’imponderabile dell’esistenza.
Questa reciprocità fatta dall’incontro con l’altro e dal nostro colloquio, ancora oggi carente per investimento etico, va riconquistata, sensibilizzata per produrre senso civico, etica propedeutica nella ricerca di un nuovo Umanesimo che può aiutarci a traghettare verso nuovi mondi appaganti. E la politica, come investimento culturale sul concetto antico della polis, oggi sembra rinunciare al suo riscatto sociale viste le innumerevoli diatribe quotidiane a cui assistiamo e di così poco spessore individuale.
Proprio in questo periodo dove la “nostra verità” tende sovente a primeggiare, le realtà vengono sconvolte da nuovi scenari mondiali legate all’ineluttabilità del virus; oggi più che mai viene richiesta questa lucidità personale di apertura al possibile, allo sconosciuto come segno di occasione evolutiva e perturbabilità da valorizzare, possibilità di apertura allo “Sconosciuto” come confronto arricchente. Ma quanto ancora siamo sconosciuti a noi stessi?
Il filosofo aggiunge: «E quando non siamo noi, come nel caso di Silvia in prigionia, a decidere della nostra vita, può accadere che si tocchi con mano quello che Freud, ateo, già constatava quando diceva che “il nostro io non è padrone in casa propria”».
Credo che l’esperienza di questa donna ci induca a spingerci oltre i nostri perenni steccati, i nostri millenari pregiudizi da cui facciamo sempre molta fatica a distanziarci senza arrivare a pensare che così ci precludiamo ottime possibilità di conoscenza del sé, di approfondimento interiore di «un’ulteriorità di significato rispetto a quello predisposto dall’ipertrofia del nostro io».

* Presidente dell’Associazione La cura di sé

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