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Aborto Usa, un abbaglio

Come interpretare la Costituzione?


(Angelo Perrone) Rivedere in America manifestazioni di piazza e cartelli sulla libertà di decidere del proprio corpo, assistere a rivendicazioni di diritti elementari nel più grande paese di democrazia occidentale ha uno strano sapore. Riporta indietro le lancette della storia, ci proietta in un passato che appariva superato, anche se – lo sappiamo - infinite sedimentazioni conservatrici sono presenti ovunque. In molti settori dell’opinione pubblica americana, ma anche da noi in Europa. 
Tutto accade in conseguenza della preannunciata svolta restrittiva sull’aborto da parte della Corte suprema Usa (anticipata da uno scoop giornalistico) che suona come un passo indietro rispetto alle conquiste femminile di emancipazione. Si avverte anche una “stonatura” d’altro tipo in questo momento storico, che è contrassegnato da tragedie così attuali, dalla pandemia alla guerra in Ucraina.
La vicenda evidenzia comunque una problematica attuale, che riguarda non solo l’America. I sistemi costituzionali democratici sono fragili, hanno bisogno di cura costante, devono fronteggiare il pericolo continuo di derive oltre la legalità. Le incognite sono evidenti oltre Atlantico.
Se si escludesse che il diritto all’aborto sia (indirettamente) riconosciuto dalla Costituzione americana, la questione rimarrebbe in mano ai singoli Stati che potrebbero decidere discrezionalmente, e già si nota una forte tendenza conservatrice negli Stati governati dai repubblicani conservatori.
Ci sono molti orientamenti reazionari in materia di famiglia, diritti delle donne, assistenza sanitaria. L’aborto risulterebbe praticamente impossibile in molte parti d’America per le restrizioni già in atto o possibili in conseguenza della pronuncia della Corte, mentre la povertà e l’ignoranza renderebbero precaria o nulla l’eventualità di recarsi negli Stati più liberali per accedervi: emergerebbero insormontabili ostacoli materiali.
Non è ancora tutto. Anzi. La più consistente anomalia della possibile retromarcia nella consolidata giurisprudenza americana è quella che concerne proprio le argomentazioni giuridiche del giudice Alito (relatore del provvedimento) e i motivi del suo convincimento su temi cruciali, come l’individuazione dei “beni” di rilevanza costituzionale.
C’è da tenere conto – per contestualizzare - della specificità del sistema americano, ispirato alla ripartizione delle materie da disciplinare tra legislazione federale e statale, e al ruolo della Corte suprema come giudice risolutore di casi pratici e interprete della carta costituzionale secondo le regole della common law, quindi del precedente vincolante, dello “stare decisis”, come diremmo secondo il diritto romano.
Ebbene nulla impedisce ai singoli Stati americani di regolare la materia, e quindi di disciplinare a modo proprio l’accesso all’aborto, ma è decisivo che la Corte suprema con le sue pronunce riconosca o meno che si tratti di un diritto previsto dalla Costituzione vigente. Solo in tal caso sono illegittime le eventuali restrizioni di principio (il “se” abortire) e i singoli Stati devono uniformarsi al criterio generale. 
Tale era la situazione riconosciuta dalle sentenze Roe e Planned, che oggi rischia di essere stravolta con l’affermazione del giudice Alito, secondo cui il diritto di aborto non è riconosciuto dalla Costituzione degli USA.
In particolare non potrebbe rientrare nella tutela prevista dal 14° emendamento – presidio delle libertà civili e politiche - che tra l’altro recita: «Qualsiasi Stato (non potrà) privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l'eguale protezione delle leggi». 
L’aborto non sarebbe un diritto tutelato dalla Costituzione perché – ad avviso di Alito - non raccordabile alla nozione di “libertà della persona”. Tuttavia, stupefacente è la motivazione addotta dallo stesso giudice per giustificare l’assunto: «quell’emendamento è stato introdotto in un’epoca (1868 ndr) in cui neanche si discuteva di aborto», scrive senza remore Alito. 
L’infortunio in cui incorre il relatore è giuridico, non sociologico. È certamente vero che nell’’800 non si parlava pubblicamente di aborto. Ma ciò non basta per escludere che il 14° emendamento possa costituire l’ancoraggio normativo della materia. L’errore, sorprendente per un giurista, è quello di negare che la norma sia regola scritta esclusivamente a titolo di “riassunto del passato”, non per regolare il futuro indicandone il principio regolare.
Si può discutere sul significato odierno della nozione di libertà, non sul principio che ciò debba essere fatto dall’interprete, nello sforzo di raccordare passato e presente, dare attuazione a principi antichi, scoprirne le implicazioni nuove che i cambiamenti sociali rendono attuali. 
La vicenda mostra che i diritti (in questo caso delle donne) non sono mai al sicuro, possono essere facilmente revocati. Anche quando sono in vigore per anni. E, se affermati, possono rimanere sulla carta. La messa in pratica condiziona l’effettività delle regole (le cliniche garantiscono l’aborto? Esiste un’assicurazione sanitaria per le spese? C’è il sostegno al reddito e all’infanzia?). 
«La lezione – scrive Nancy Fraser, filosofo, femminista americana – è che il mantenimento delle libertà duramente conquistate richiede sforzi continui». La questione delle libertà investe ogni settore e incombe a livello internazionale, come abbiamo visto con il disordine eversivo della presidenza Donald Trump, le restrizioni della pandemia e ora le ripercussioni della brutale invasione russa in Ucraina. 
La possibilità di perdere le nostre libertà è fin troppo reale. È evidente anche nelle scelte private. «Autonomia personale e autonomia pubblica sono due facce della stessa medaglia», avvertiva il filosofo Jürgen Habermas.

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