mercoledì 22 giugno 2022

Come imparare le lingue senza fatica

di Laura Maria Di Forti
Introduzione di Angelo Perrone

(Angelo Perrone) «Il ricordo è il tessuto dell’identità». Lo ha detto Nelson Mandela, e come non essere d’accordo? Senza i nostri ricordi, in fondo, cosa saremmo? I ricordi che qui Laura Maria Di Forti propone sono i suoi, ma in qualche modo ci appartengono.
Ciascuno potrà trovarvi frammenti della propria vita, rimasti nascosti nella memoria, però ancora vitali. Qualcosa di simile a ciò che si è vissuto in prima persona.
Oppure semplici occasioni per fare un viaggio, ricordare altro, in un’infinita catena di episodi, anche minuti, importanti solo per lui, che hanno qualcosa di insostituibile: nei momenti più convulsi è possibile riandare ad essi per trovare la dolcezza smarrita. Rappresentano il modo in cui il passato confluisce nel presente, l’esperienza che ci ha permesso di essere quello che siamo. Nel bene e nel male.

Uno dei primissimi ricordi riguarda l’inglese e il francese. Quando avevo poco più di sei anni, ero convinta che fosse sufficiente mettere delle acca e far finire le parole con la esse, aggiungere poi and e the per poter dire di conoscere l’inglese.
Era estate, avevo dei pantaloncini corti, una camicetta con disegnati i cartellini delle varie destinazioni che un tempo si mettevano sulle valigie, gli immancabili mocassini e un paio di occhiali da sole ed ecco mi sentivo una perfetta inglese. D’altronde, quando avevo cinque anni, mi ero inventata che sapevo cantare “San Martino campanaro” in perfetto inglese. Praticamente una millantatrice!
Per il francese, invece, inventavo parole con tante emme, pi e je e, naturalmente, mettevo l’accento sulle finali. Avevo un buon orecchio, evidentemente, e comunque ero influenzata dalla televisione che, negli anni Sessanta, ospitava molti cantanti francesi come Charles Aznavour, Yves Montand e Juliette Grecò, la musa degli esistenzialisti e una dei protagonisti di Belfagor, il fantasma del Louvre.
Morivo di paura quando vedevo questo sceneggiato (così si chiamavano le serie televisive, ricordate?) per l’orrenda maschera di Belfagor che appariva nelle sale del grande Museo parigino e incuteva terrore.

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