sabato 19 dicembre 2020

L'ospitalità negata

In questa stagione di feste avvertiamo maggiormente il prezzo della pandemia

di Laura Maria di Forti

Quando avevo otto anni sapevo, grazie ai racconti di mia nonna soprattutto, che venti anni prima c’era stata una lunga e terribile guerra e che alcuni stati europei stavano iniziando il cammino verso una unificazione.
Ricordo molto bene il giorno in cui mio zio, giovane trentenne entusiasta e fiducioso, mi parlò del MEC con tale fervore da elettrizzarmi tutta e catalizzare la mia attenzione. Percepii subito con grande intensità il suo messaggio e compresi la necessità dei paesi europei di unirsi, di considerarsi parte di una grande e unica terra con origini comuni e una cultura dalle medesime radici. Mi parlò anche dell’Olocausto, della sofferenza di milioni di persone, della insensatezza colpevole di altri. 
Ma in quegli anni Sessanta, insieme alla consapevolezza di voler uscire dagli anni bui, c’era un entusiasmo contagioso, una volontà di rinascere, di vivere la modernità dei nuovi tempi cambiando certe vecchie regole ormai desuete, speso meschine, lesive della dignità umana.
E per fortuna molte cose sono cambiate. Negli anni Ottanta e Novanta abbiamo avuto la sensazione di vivere un progredire quasi costante e i nostri volti erano sorridenti, i cuori speranzosi.
Poi è venuta la crisi economica che ci ha destabilizzati, intristiti, sfiduciati. Ma questa pandemia, con le notizie di morti, di ricoverati, di cure che non sempre funzionano, di vaccini richiesti, contestati, ritenuti indispensabili da molti ma messi in dubbio dai soliti detrattori, questa pandemia ha costretto milioni di persone all’isolamento, alla paura di incontri, a rintanarsi nella propria casa per paura del contagio.
Questa non è vita, è una guerra invece. Una guerra con i morti, una guerra che non sappiamo quando finirà, che ci isola e ci procura dolore. Stare lontani, rinunciare al dono dell’ospitalità, ritenuta sacra sin dall’antichità quale prima forma di incontro senza armi e senza inganni, dover rinunciare perfino ai festeggiamenti natalizi, a viaggiare per il piacere di ritrovare parenti o amici lontani, tutto questo fa male al cuore. 
E la crisi economica è peggiorata, ha scavato buche profonde dove sono precipitati negozi ed intere aziende, dove sono crollate le aspettative di giovani che si affacciano sul panorama del lavoro, dove sono franate le speranze di quelli che credevano in una ripresa.
Insomma, questa sembra essere una nuova guerra che ci lascia perplessi, che ci crolla addosso senza lasciare edifici distrutti e senza incursioni aeree, ma che procura morti e gravi disagi psicologici.  Bambini e giovani prigionieri nelle case, uomini e donne terrorizzati dalla precarietà del lavoro e dal non sapere a chi affidare i figli costretti a casa per evitare contagi, anziani lasciati soli per paura di contaminarli.
Talvolta mi chiedo: come faremo ad uscire da questo lungo tunnel buio? Le televisioni ci allarmano, prolificano le trasmissioni pseudoscientifiche, divulgatrici di notizie ma anche di terrore, verità annunciate che vengono puntualmente smentite dopo qualche giorno se non addirittura dopo qualche ora. 
I nuovi divi, dopo le epoche delle star cinematografiche e delle super modelle, ora sono i medici che litigano fra loro, si contendono la verità, si contestano a vicenda, vanno a braccetto o si contraddicono. Penso che annaspino in un mare di “non sappiamo”, di “forse” e di “ma”, in un oceano di “sembra, bisogna capire, crediamo” e invece questo virus è sibillino, muta, si nasconde, riappare contro ogni previsione.
Beati gli anni Sessanta in cui un panettone bastava a fare il Natale, beati gli anni passati in cui si entrava ed usciva dai negozi con i pacchetti regalo ben infiocchettati e confezioni di pungitopo, il sorriso sulla bocca, l’aria di festa che aleggiava per strada, il canto degli zampognari (ricordate?) che scendevano in città dai monti vicini. Altri tempi. Mi chiedo se torneranno.
Speriamo di sì. In fondo da sempre pestilenze e guerre hanno devastato l’umanità. Forse tutto ciò è successo però per colpa nostra. Le guerre sono volute dall’egoismo e dalla cecità umana e le pestilenze, probabilmente, dall’insensatezza con cui trattiamo il nostro pianeta, sfidando probabilmente le regole semplici ma inevitabili della convivenza: dobbiamo infatti coabitare con la Terra che ci ospita e ci procura il sostentamento. Ma noi cosa le diamo in cambio? Sfruttamento delle risorse, inquinamento, sfida delle elementari regole di igiene e della convivenza con le altre specie viventi, a partire dalle foreste per finire agli animali.
Dobbiamo imparare ad essere migliori, credo. Dobbiamo capire che la nostra grande casa Terra ha bisogno di noi e del nostro rispetto.

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