mercoledì 9 dicembre 2020

Un Natale diverso

L’attesa delle feste, al tempo del Covid, non è solo questione di regali, viaggi, cenoni, divertimenti. La paura dell’infezione induce a riscoprire l’essenzialità dei legami importanti

(Angelo Perrone) L’aria di Natale è annunciata, fa già capolino nelle strade, e il richiamo degli acquisti è irresistibile. Fare shopping è la parola d’ordine, complice la riapertura dei negozi dopo il dpcm per le feste di fine anno. E’ importante per ridar fiato all’economia, per sostenere le attività in affanno. Anche le famiglie lo desiderano. Un momento di allegria, dopo tanto grigiore. Comprare e spendere, impulso forte cui è difficile sottrarsi in queste giornate.
Le regioni cambiano di colore, o sono prossime a farlo. Dopo l’iniziale suddivisione cromatica del paese per indicarne il livello di rischio Covid. Un segno positivo, amplificato dai provvedimenti locali. Le ordinanze di governatori e sindaci si definiscono “interpretative” delle misure nazionali, sono in realtà “modificative”, allargano le maglie strette del contenimento. Si vuole andare incontro alla gente, guadagnare spiccioli di consenso elettorale. Qualche concessione è necessaria, ci sono gli anziani soli, le feste da celebrare, il panettone da tagliare insieme, le seconde case da raggiungere: sprazzi di vita da guadagnarsi.
Si può provare a largheggiare, almeno un tantino, ora che i numeri sono meno drammatici. Le regole servono sempre, è ovvio, ma un po’ di svago non fa male. Gli affari, incredibile, volano appena lanciato il segnale. Quasi al livello pre-Covid, solo un 15% in meno.
In giro, le luminarie sono poche, la tredicesima servirà a colmare i buchi, soldi in tasca ce ne sono pochi. Lo spirito poi non è dei migliori, con amici e parenti in scacco per il Covid. Quando va bene in quarantena a casa, gli altri nel girone degli ospedali, un destino fragile ed incerto. Però si fa largo la frenesia degli acquisti, liberatoria degli affanni, in anticipo rispetto alle date. Non ci può essere festa senza pacchetti, infiocchettati e lucenti, da scartare, anche se la magica nottata sarà più corta, per via dei coprifuoco.
Pensieri e gesti per liberarsi da un peso, dare sfogo all’augurio represso che tutto si risolva al meglio. Il permesso di girare per le strade, alla riapertura dei negozi, basta per mescolarsi in fretta, confondersi con gli sconosciuti, senza dimenticare la mascherina d’ordinanza.
Prendere d’assalto le vetrine tornate sgargianti permette di godere l’istante sublime. Quando si esce dai locali pieni di pacchetti luccicosi. Lo scalpo del benessere riconquistato, la prova della ritrovata libertà di muoversi e curiosare nel mondo di fuori. Inebriati dallo stupore, non ci accorgiamo di nulla: il traffico intenso, il parcheggio impossibile, i gas di scarico, gli spazi limitati sui marciapiedi. Le distanze si annullano, tutti in coda per entrare nei centri commerciali, vedere un oggetto, pagare alle casse. Il contagio che non fa più paura, conta solo il piacere ritrovato: il regalo come sublimazione del pericolo, magari solo semplice scongiuro.
Abbiamo sognato questi momenti già al rientro dalle vacanze estive, dando seguito a quella spensieratezza, in nome della normalità. Girato l’angolo, l’autunno ha portato con sé novità drammatiche. Prevedibili ma rimosse per scongiurare la iattura. Ci hanno di nuovo rinchiusi in casa, bambini disobbedienti, puniti dall’inflessibile maestra che tutto sa.
Scoperte le marachelle dell’estate, non ce ne siamo fatta subito ragione. Per un po’, ci siamo intristiti, crucciati. Presi dal disappunto di ritrovarci al punto di partenza. Di nuovo? A cosa sono serviti i sacrifici di prima? Sono volate parole grosse, prima che i numeri e le immagini screditassero tanta alterigia. Era il prezzo dell’incoscienza, dell’impreparazione davanti alla seconda ondata. E dell’uso disinvolto della libertà. Non è semplice riaversi dalla spavento, riprendere a camminare.
Tra nuovi dpcm e ordinanze locali, ci ritroveremo a Natale. Non mancherà il borbottio di fondo di governatori e sindaci, né la caciara tra opposizione e governo sul colore delle regioni. Mettersi d’accordo su come combattere il virus angoscia tutti i paesi, un problema irrisolto. Il giallo è la meta da raggiungere al più presto, non importano contrattempi ed ostacoli. La gestione della sanità, improvvidamente ripartita dalla riforma costituzionale 2001 tra Stato e autorità locali, potrebbe mettere tutti d’accordo su un nuovo obiettivo: spalmare la magica colorazione chiara su tutto il territorio.
Un miracolo di concordia, decidere che il rischio è ovunque ridotto. Ma intanto ecco il nuovo dilemma ad angosciarci. Non quale sarà la curva dei contagi a fine mese. Non quanti morti ancora dovremo piangere. Né tanto meno se sarà pronto il vaccino. Per quello ci vorrà tempo, tanto. Con chi trascorreremo le festività? Quanti posti a tavola? E i nonni, che ne faremo?
I numeri prevalgono su tutto. Il cenone tra pochi intimi è “fortemente raccomandato” come affermano le ordinanze quando non possono/vogliono dare ordini. Un modo singolare di fare decreti, il resto è dettare regole rigide sui movimenti, sulle attività economica, su ciò che si può e non si può fare. Del resto sarebbe complicato disciplinare la vita privata, mettere bocca nelle cose domestiche.
La sobrietà è la soluzione politicamente più corretta, la migliore per motivi sanitari, “raccomandabile” è il caso di ribadirlo. Comporterà festeggiamenti più brevi anche per il coprifuoco. E una maggiore cautela tra i partecipanti alle feste. Sarà un problema con la nonna novantenne, la zia più giovane ma malandata. Ammesso che siano già conviventi, altrimenti sarà un guaio. Non parliamo poi degli abbracci, meglio evitarli, farne a meno. Qualche sorriso, e basta.
A ridurre il numero dei commensali ci eravamo già abituati prima del Covid, anche se non fino a questo punto. Cause di forza maggiore. Cambiamenti economici. Il resto l’ha fatto proprio il lockdown sulla stabilità dei legami. Dove sono le famiglie patriarcali, quelle con schiere di figli, stormi di parenti vicini e lontani? Oggi, nuclei familiari ridotti all’osso. Coppie giovani o anziane, se non single per necessità o scelta. Pochi figli, spesso uno solo, magari lontani dai luoghi di origine, all’estero o in città lontane, a studiare o cercare un lavoro. In difficoltà ora a tornare per via del virus e delle quarantene.
Sulla piazza, rimangono in pochi, amici e parenti, come possibili invitati al cenone. Sempre tanti per le regole di continenza da osservare. Inevitabile una bella sforbiciata, da che – negli anni passati - si largheggiava senza badare troppo alle scelte, a chi si faceva entrare in casa e sedere alla nostra tavola. Gli esclusi saranno tanti e metteranno il broncio, a noi sembrerà strano non invitarli. A chi rinunciare? Parenti che durante l’anno sentiamo poco. Amici/colleghi di cui ci ricordiamo, guarda caso, solo alle feste. Sfrondare sui numeri significherà fare i conti con le abitudini e la diplomazia. Non sarà, forse, un gran male.
La composizione della tavola, quest’anno, cambia per paura del contagio, oltre che per i tanti mutamenti sociali. Il Covid costringe a ripensare la vecchia normalità, a tornare sui passi di prima. Non è affatto banale o secondario. Festeggiare il Natale e la fine d’anno potrebbe non essere più una parentesi anomala del vivere quotidiano, rito fine a sé stesso, con regole disattese in altri momenti. Piuttosto un modo per dare valore al nostro mondo più intimo e prezioso.
La festa non è banalizzazione del tempo, semmai ricerca di ciò che lo rende più intenso e gioioso. Il Covid avrebbe questo effetto, involontario ma positivo: indurci a riscoprire l’essenzialità dei legami che contano. Eliminare il superfluo, il poco importante. Farci ritrovare soltanto accanto alle persone più care. Con le quali condividere davvero il sapore speciale dei piatti della tradizione di famiglia. E il profumo dei ricordi comuni.

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