(Angelo Perrone) Nel borgo, dove la luce del giorno si ritira presto e le ombre si fanno lunghe, esiste un’usanza antica: prestare il volto ad altri. Quando l’aria si fa più fredda, ogni abitante indossa una maschera prima usata da altri.
C'è l'uomo che lavora sui numeri, ma al calar delle nebbie calza il volto del saltimbanco, e dispensa allegria.
C’è la guardiana, inflessibile, che si copre con l’effigie del sognatore e si aggira tra le vie con passi leggeri.
Non lo fanno per divertimento, ma per necessità . Credono che il loro vero volto sia troppo esposto o troppo scomodo per l'ultima parte dell'anno. Hanno il permesso di recitare una parte che il loro ruolo non consente.
Ma la stagione cela un paradosso. Più il saltimbanco si esibisce, più l'uomo sente il peso dei conti che ha lasciato scoperti. Più il sognatore si disperde nelle illusioni, meno la guardiana riesce a distinguere i confini tra la finzione e la realtà . La maschera, nata per proteggere, finisce per fagocitarli.
Un giorno, un eremita, noto per non aver mai coperto il suo volto, fu interrogato da una figura che indossava una maschera pesante.
«Perché tu solo non partecipi?» chiese. La voce metallica e distorta dalla maschera. «Non temi lo sguardo altrui?»
L'eremita sollevò appena lo sguardo: «Io temo una cosa sola: dimenticare i miei doveri. Questa stagione non serve a fuggire il giudizio, ma a nascondere i vizi. La maschera che porti, amico, non ti protegge; ti dà solo il pretesto per accusare il volto altrui».
E continuò: «Nel borgo, molti credono che sia utile un volto fiero per essere rispettati, o uno sofferente per commuovere. Ma la regola non è questa. «Quando si accusano gli altri di nascondersi, bisogna prima essere sicuri di non distrarre l’altro.»
Alla fine della stagione i volti vengono finalmente rimossi, il problema non è mai stato cosa nascondessero, ma quanto fosse diventato faticoso fingere. E il borgo tornò a specchiarsi in sé.

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