mercoledì 8 ottobre 2025

Le prime luci

(Angelo Perrone) Matteo si svegliava sempre prima dell’alba. Non per scelta. La sveglia non suonava mai: il suo corpo conosceva l’ora, come un vecchio orologio a pendolo.
Si alzava nel buio, le dita che cercavano la lampada sul comodino. La luce gialla, fioca, disegnava ombre lunghe sulle pareti.
Si vestiva in silenzio, per non svegliare Elena, che dormiva ancora. A volte, si fermava un istante a guardarla. Il suo respiro regolare, il viso rilassato, gli davano l’illusione che tutto potesse ancora andare bene.
Usciva di casa quando il cielo era solo un accenno di grigio, l’aria umida e pesante. Le strade erano deserte, i lampioni ancora accesi. Camminava fino alla fermata dell’autobus, le mani in tasca, il collo del giubbotto alzato contro il freddo. Pensava al lavoro che lo aspettava, a volte si chiedeva se anche loro, i colleghi, si svegliassero con quel peso, la sensazione di essere inghiottiti da qualcosa di invisibile.
Sull’autobus, si sedeva vicino al finestrino. Guardava fuori, mentre il mondo si svegliava piano: i negozi che aprivano, i baristi che preparavano i primi caffè, i ragazzi in motorino che sfrecciavano. 
Al cantiere, il rumore lo avvolgeva: martelli, seghe, voci. Il capo gli urlava istruzioni, i colleghi scherzavano tra loro. Matteo rispondeva solo con cenni del capo, a gesti. Il lavoro lo assorbiva, era anche l’unica cosa che gli impediva di pensare. Così la mente si svuotava, e le braccia si muovevano da sole. Poteva quasi dimenticare.
A mezzogiorno, seduto su una cassa di legno, mangiava il panino preparato da Elena la sera prima. Il pane un po’ raffermo, la mortadella un po’ secca, ma lo mangiava lo stesso. Guardava gli altri operai, alcuni che ridevano, altri fumavano in silenzio. 
La sera, tornava a casa stanco, le mani sporche. Elena gli preparava la cena, gli chiedeva com’era andata. Lui rispondeva con frasi brevi, e sorrideva. Dopo mangiato, si sedeva sul divano, accendeva la tv, ma non guardava davvero. 
Una mattina, mentre aspettava l’autobus, si fermò a guardare. L’alba stava colorando le nuvole. Era bello. Per un istante, Matteo sentì qualcosa muoversi dentro di sé. Poi l’autobus arrivò, e lui salì, non fece in tempo a capire cosa avesse provato.

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