mercoledì 27 novembre 2019

Telefono amico

In una residenza per anziani, la vita di chi vi lavora. La lontananza da casa, le difficoltà del lavoro e l’inserimento in realtà sconosciute.

di Marina Zinzani

Le tormente nella neve, le estati e la siccità, la malinconia delle sere di gennaio, il vaso di gerani appassito, perché senz’acqua.
Era tutto un insieme di sensazioni, fantasmi quasi, notizie di giornali vecchi e pensieri che vagavano da soli, in un labirinto, senza trovare più la via d’uscita. Rosa era nel suo mondo, parallelo.
Anita invece parlava, parlava da ore. Lunghi discorsi con la compagna di stanza, che poi si era addormentata. Ma Anita parlava comunque. Dunque, il latte oggi non era quello di ieri, avevano cambiato marca, bisognava reclamare, andare dalla direttrice, anche andare dal sindaco, se necessario. Sindaco, e assessore, certo, c’entrava anche lui, era un complotto.
Marianna non parlava invece, era muta da giorni. Pensava alla sua gatta che aveva lasciato a casa, che non le avevano permesso di portare con sé. La sua Ludmilla, quanto era dolce, si faceva accarezzare per ore. Lo sguardo alla finestra, le luci di notte.
Carmen fece il giro delle stanze. Aveva trovato lavoro da poco, era giovane, venezuelana, e quando era venuta in Italia aveva tanti sogni in tasca. L’Italia era il paese della moda e del mangiare bene, ci sarebbe stata anche per lei un’occasione, un buon lavoro per poter mandare i soldi a casa, a sua madre e ai suoi fratelli.
Notte, turno di notte, residenza per anziani. A dispetto del nome sulla pubblicità, non era un luogo di quiete dopo una vita. Era un luogo in cui c’era da assistere persone con demenza senile, con malattie croniche e questo comportava fatica, anche sfinimento a fine giornata.
Il Venezuela era lontano, la malinconia scendeva la sera. E provava malinconia anche per Rosa, Anita, Marianna, quelle donne gentili, tenere come bambine indifese, quasi sempre sole.
Chiuse tutte le luci, e andò nella cucina. C’era la caffettiera con un poco di caffè. Lo mise nella tazzina, lo bevve. Guardò l’orologio, mancava poco. Ecco, finalmente. Il telefono vibrò e lei si sciolse in un sorriso, il primo della giornata. Come sempre, alla stessa ora. Era sua madre.

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