di Laura Maria Di Forti
Natale è ormai così vicino che si contano le ore e non più i giorni. Roma è angustiata dal traffico, tragitti di venti minuti in auto diventano maratone da un'ora e mezza. Tutti sono impazziti, si dimenano per gli ultimi regali da acquistare, i visi sono stravolti, i negozi affollati, le file lunghissime.
Travolti da tutta la giostra natalizia, andiamo avanti attendendo la sera del 24 dicembre, momento in cui i negozi chiuderanno le saracinesche e noi potremo sedere a tavola per il cenone.
Pesce, frittura di mele, salvia e zucchine in pastella, insalata russa e niente carne mi raccomando, una fetta di panettone, qualche cioccolatino e, a mezzanotte, si scopre finalmente il Bambinello del Presepe. Poi, l’indomani, è Natale, sotto l’albero vari pacchetti sembrano essere apparsi per magia e i bambini, solitamente assonnati, sembrano grilli che saltellano per aprire i loro doni.
È festa. Tutti vogliono essere felici e approfittare della vacanza.
Gesù è nato ma la pace nel mondo ancora non c’è. Ci sono le guerre, invece, e la spocchiosa convinzione che è meglio il cannone della convivenza pacifica. Una volta credevo all’evoluzione dell’uomo da cavernicolo a essere pensante e, invece, avevo torto.
Sembra che noi esseri umani usiamo solo il dieci per cento del nostro cervello: purtroppo, utilizzando questa piccola percentuale la guerra è ancora vista come un mezzo naturale, logico e imprescindibile di sopravvivenza mentre la pace appare come un miraggio lontano o, meglio, come la follia dei sognatori.
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