giovedì 12 dicembre 2024

Roma, tra cantieri e vitalità

di Laura Maria Di Forti

Roma è un cantiere a cielo aperto. Il centro storico è invaso da impalcature, divieti di accesso non solo per gli autoveicoli ma anche per i pedoni. Insomma è tutto recintato, vietato, proibito, è tutto sottosopra, provvisorio, in attesa. Di cosa? del giubileo. 
Roma vuole mostrarsi più bella, ripulita, accudita. Come non mai.
Ma perché danno tanto fastidio queste impalcature?Per il traffico, certo, perché nascondono la bellezza dei monumenti, tradiscono i tramonti sotto gli archi, quelli con l’obelisco svettante o con le fontane trionfanti di acqua e zampilli. D’altronde, Roma è una capitale da poco, prima era un borgo dove i campi coltivati convivevano con grandi palazzi nobiliari.
Roma era la città dei Papi e, dopo un inizio magnifico, dopo i secoli in cui era stata la capitale di un impero che non aveva rivali, si era spopolata, era andata in rovina, aveva perso lo smalto di quella grandezza che l’aveva resa potente.
I campi per le pecore e gli orti familiari avevano preso il posto delle ville romane, terrazzate e ricche di giardini e vigneti, tutto era rovina, tutto era polvere. La città, insomma, era divenuta un paese di non molte anime. Poi, i Papi l’hanno riempita di Chiese e di conventi, i nobili l’hanno arricchita con palazzi costruiti con gli antichi marmi e statue, e Roma si è di nuovo risollevata proprio sulle macerie della precedente sua grandezza che è rimasta sotterrata sotto metri di terra.
E ora, mentre colonne escono fuori dai muri delle chiese, le sorreggono, fanno parte del nuovo assetto, continuano a riaffiorare parti di quella Roma antica, oggetti utilizzati comunemente vengono alla luce, brocche, utensili vari, are per sacrifici.
È quasi un guazzabuglio di stili e di materiali, eppure tutto ciò rende Roma perfetta nella sua totale mescolanza, in quel calderone magico dove ogni cosa sembra prender vita, ogni singola pietra, ogni angolo, ogni buco da cui escono fuori reperti di vario genere, frammenti di vite vissute.
Roma è in fermento, dicevo: si muove, lentamente, ma si sta muovendo. Sembra una vecchia signora, molto stanca ma decisa a ringiovanirsi, a mostrare i suoi gioielli che sono tanti e sono preziosi, a ritornare ad essere diva, protagonista in un mondo dove però ciò che conta è la tecnologia, avere palazzi alti, anzi altissimi, con forme ardite e linee geometriche. 
Roma invece è sinuosa, è una ballerina che balla sotto il sole e un cielo che è blu come uno zaffiro, è una gatta sorniona, è una donna bellissima che non teme di farsi trovare in vestaglia.
E la Roma giubilare, pia e devota alla Chiesa con cui per secoli si è identificata, è una città impaurita dalla moltitudine di gente che scenderà per le strade romane e si confonderà con chi dovrà comunque ogni giorno andare al lavoro.
Insomma, i romani sono in ambasce: temono il traffico, temono la calca di gente, i pullman che attraversano le vie cittadine come carrarmati, la confusione in una città concepita quando non c’erano così tanti abitanti, non c’erano autoveicoli, soprattutto non c’era la vita concitata di oggi. 
Roma è una città sofferente, bella, bellissima, ma agonizzante. Il traffico la imprigiona, la rende nevrotica, quando invece vorrebbe stendersi al sole a apparire in tutta la sua magnificenza, ingioiellata e preziosa.

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