(ap) Come eravamo, come siamo diventati. Oltre 500
immagini sono raccolte in un libro appena uscito, “Trovare l’America”
(Anniversary Books Editore). Un documento che, soprattutto per mezzo di straordinarie
fotografie, prova a descrivere la storia dell’emigrazione italiana dall’altra
parte dell’oceano per più di un secolo sino ai giorni nostri.
A mettere a disposizione questo materiale così suggestivo è stata la Library of Congress di Washington, l’istituzione che, con la molteplicità dei documenti conservati nei suoi archivi, rappresenta la memoria ufficiale di quel paese.
A mettere a disposizione questo materiale così suggestivo è stata la Library of Congress di Washington, l’istituzione che, con la molteplicità dei documenti conservati nei suoi archivi, rappresenta la memoria ufficiale di quel paese.
Nel libro, si trovano personaggi noti come Antonio Meucci, Fiorello La
Guardia, Joe Di Maggio, ma hanno spazio anche le vicende di uomini meno
conosciuti o poco ricordati, come Giacomo Beltrami, il primo esploratore a
raggiungere le sorgenti del Mississippi nel 1823; Joe Petrosino, precursore della
lotta al crimine organizzato; Carlo Gentile, che fotografò i nativi americani
del Sud-Ovest nell’Ottocento; e Athos Casarini pittore futurista e illustratore
per le più popolari riviste newyorkesi d’inizio Novecento. L’emigrazione
italiana non può essere collegata soltanto al nome di “Cosa nostra”, che se ne
servì per violentarne lo spirito e diffondere il crimine.
Il libro ricostruisce la vita difficile affrontata dalle migliaia di
persone che scelsero di abbandonare le proprie case, e affrontarono il difficile
percorso per la sopravvivenza, per poi diventare una grande risorsa per
l’America. Una narrazione costruita sui volti degli emigranti, bambini, donne,
uomini; sulle situazioni difficili in cui si trovarono al loro ingresso nel
paese; sui sacrifici indicibili che colpirono le prime generazioni. Pochi
bagagli, legati con lo spago, a segnare il definitivo distacco dalla propria
terra; vesti modeste e malandate ma non trascurate, sguardi malinconici, e
pervasi da un senso di smarrimento. In quelle foto, così dense di significato, non
solo la trama delle singole vite, ma la stessa storia italiana dell’ultimo
secolo.
Colpisce come queste persone, provenienti in genere dalle zone più
arretrate d’Italia, abbiamo combattuto il senso di spaesamento provato in un
paese diverso e sconfinato. Lo hanno fatto, ricostruendo in America i luoghi
che conoscevano, ripetendo il loro mondo, e il tessuto conosciuto dei valori e
delle tradizioni, mantenendo i punti fermi della loro esistenza. Dalle
processioni religiose ai carrettini dei venditori ambulanti, dai panni stesi ad
asciugare in mezzo alle strade, alla celebrazione dei cibi regionali, dalle insegne
tricolori alle canzoni popolari. Per il bisogno di non perdere le proprie
radici, per ascoltare ancora la lingua amata, per tramandare i segni di
un’esistenza abbandonata, per mantenere l’amicizia con la propria terra e con i
compaesani.
Luci, suoni, odori, melodie sono diventati palpabili segni della propria
origine mai dimenticata e della continuità di un modello di vita profondo e
radicato. Il proprio mondo di riferimento divenne la materia prima con cui furono
create le tante Little Italy sparse in ogni città d’America. Poi si compì una
trasformazione imponente attraverso le nuove generazioni, sempre più radicate
in America.
Fotografie, appunti, cartoline, lettere costituiscono un mosaico prezioso
che merita di essere ricostruito come avvolgendo all’indietro una pellicola,
per raccontare quella storia, ma anche per dare alle cose del nostro tempo un
senso nuovo. Oggi che l’emigrazione assume un carattere globale e il mondo
intero è scosso da ondate crescenti di popoli in cammino, ponendo inquietanti
interrogativi alle nostre coscienze. Ora che la stessa Italia conosce, per la
crisi economica, una forma di emigrazione, diversa ma non meno grave di quella
passata, coinvolgendo stavolta persino classi colte e giovani preparati. Quanti
vogliono impegnare le loro capacità professionali e non riescono a farlo in
patria, dove non trovano un destino coerente con le loro aspettative.
Guardare queste immagini serve a riscoprire singole storie dolorose, ma
anche a comprendere lo spirito di libertà e di speranza che le ha accompagnate
e le ha rese meno opprimenti, ridando a molti il gusto del futuro. Gli emigranti italiani,
che hanno contributo a far crescere e rendere migliori le terre che li hanno
accolti, appartengono non solo alla nostra storia passata, ma al nostro
presente e persino al futuro che vogliamo costruire.
Le foto, infatti, raccontano le speranze
che hanno saputo guidare il cammino di tanti e che oggi possono indicare ad
altri la strada da percorrere per dare accoglienza agli uomini che rischiano di
perdersi nella sventura e per suggerire loro quel cammino fiducioso che ha
contraddistinto la nostra emigrazione di un tempo. Affinché la terra
dell’accoglienza sia ogni spazio capace di prestare ascolto alla sofferenza e di
valorizzare le risorse migliori degli uomini.
Ci sono a volte non solo persone, ma cose, fatti, eventi, che ci aspettano
lungo il cammino, per dirci, quando non sappiamo che fare, qualcosa di noi, delle difficoltà
che dobbiamo attraversare, della direzione che dobbiamo prendere. Nelle fiabe,
i messaggi sono affidati alla voce di una strega, di un animale parlante,
oppure sono nascosti sotto una pietra. Nella realtà, possono essere sotto i
nostri occhi, persino in alcune foto o in certi appunti del passato, se si ha
voglia di scoprirli e di ascoltarli. E possono tornare utili quando ci si sente
smarriti negli intrighi di boschi incolti e pericolosi.
Da piccoli che eravamo quando abbiamo visto
quei compaesani partire senza ritorno, possiamo dire che siamo diventati un po’
più grandi e forti, anche in virtù del loro coraggio, della loro umiltà, della
loro tenacia. E ci accorgiamo che, dopo tanto girovagare per il mondo, possiamo
trovare la strada del ritorno.
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