Non solo storie romantiche nel cinema, uomini anche duri e violenti, il
sapore dell’inquietudine
di
Marina Zinzani
Può
una canottiera cambiare il cinema? Sì, può. E’ accaduto con Marlon Brando,
quando la sua canottiera, nel film “Un
tram che si chiama desiderio”, sconvolse i benpensanti e gli standard
dell’epoca.
Quella
canottiera fu una linea di demarcazione fra i personaggi precedenti, attori che
interpretavano uomini forti, virili, ma anche gentili, e il personaggio di Marlon Brando, duro,
sgradevole, inquieto.
Per
l’epoca fu uno shock, ma tutti si inchinarono alla bravura di Brando, cresciuta nella scuola dell’Actor’s Studio di
Lee Strasberg con il metodo Stanislavskij. Un metodo che prevede l’immedesimazione
estrema nei sentimenti del personaggio che si interpreta, il provare veramente
dolore, sofferenza. E Brando continuò con
altri personaggi inquieti e tormentati, duri, violenti, falliti, sgradevoli, sempre
regalando emozioni forti.
Da
quella canottiera iniziò un certo cinema,
che parlava di teppisti, di gioventù bruciata, di sogni svaniti. Hollywood
usciva da quella nuvola in cui si erano collocati i sogni di una generazione
dopo la guerra, quando il cinema doveva risollevare il morale, dare
prospettive, supportare il sogno americano.
Il
cinema non faceva più sognare storie d’amore romantiche, ma mostrava la realtà,
senza fronzoli. Faceva interrogare, riflettere, apriva squarci dolorosi. Marlon
Brando ha espresso molto di questa caduta, o meglio aderenza alla realtà, nei
suoi personaggi. I titoli appartengono alla memoria collettiva, “Il selvaggio”,
“Fronte del porto”, “Apocalipse now”,
“Gli ammutinati del Bounty”. Non fu una carriera sempre splendida, ci furono
alti e bassi, ma verso la fine si impose con film importanti come “Ultimo tango
a Parigi” e “Il Padrino”. I kleenex messi dentro le guance per dare il volto a
Don Vito Corleone sono ancora leggenda. Quando riceve l’Oscar per “Il Padrino”,
manda una ragazza Apache a leggere un comunicato: rifiuta il premio a causa del
modo in cui il cinema tratta i nativi americani. E’ un segno di protesta forte,
che fa scalpore.
La
caduta delle certezze o finte certezze
dell’epoca ha caratterizzato non solo il
suo cinema ma anche la sua vita, un lento disfacimento di un corpo e di un
volto bellissimo, da angelo con toni fortemente maschili, che aveva fatto
sognare milioni di donne. Quel corpo era diventato sempre più pesante da
portare. Era arrivato fino a 150 chili.
Poi,
la tragedia. Suo figlio Christian uccide il fidanzato della sorellastra
Cheyenne, accusato di maltrattarla nonostante lei sia incinta. Per Brando inizia un altro film, un’altra vita e niente sarà più come
prima. Chiede al giudice che il figlio non paghi il nome che porta, gli
riconosce l’abuso di alcol, droghe, e l’essere stato al centro di una forte
disputa fra lui e sua moglie da piccolo. Parla delle fragilità di Cheyenne che
aveva avuto un gravissimo incidente d’auto e non si è mai ripresa.
Se
Christian sconterà pochi anni di prigione, Cheyenne non sopporta questa
tragedia, ponendo fine alla sua vita. Anche Christian morirà non molti anni
dopo, a 50 anni.
La
sua isola in Polinesia è lontana, se n’è
andata la bellezza, rimane poco dell’uomo che ha fatto sognare. Si dice che
mangiasse chili di gelato. Aveva figli illegittimi, aveva avuto mogli, amanti,
anche la domestica gli aveva dato dei figli.
Il
declino del sogno americano è stato anche il declino dell’uomo Brando, e anche
dell’attore, relegato alla fine della carriera a film di cassetta, un epilogo
triste per uno che aveva incantato il mondo. Solo, senza denaro, speso nel
mantenimento di mogli, figli, avvocati, si avvia ad un triste epilogo.
Rimangono
i suoi film, rimane un attore straordinario, forse il più grande di tutti. Alcune
sue immagini sono rimaste nella nostra memoria e sono indelebili. E lui è lì, a
soggiogarci sempre. Con il rimpianto che non ce ne sono più di attori così.
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