(ap) Il 28
febbraio 2005 moriva Mario Luzi. Manca oggi la presenza di un uomo semplice e
modesto, non la sua poesia. La nobiltà del ricordo di Mario Luzi (1914-2005) è
sancita da una lapide posta nella basilica di Santa Croce a Firenze, dove quel
nome è rammentato tra i grandi della storia, da Dante Alighieri a Michelangelo
Buonarroti, da Galileo Galilei a Vittorio Alfieri.
Laureatosi in letteratura
francese, la sua prima scelta universitaria fu però la facoltà di legge, ma in
breve il richiamo della poesia e della letteratura prevalse su quello del
diritto.
Fu in occasione
del suo novantesimo compleanno, nel 2004, che il Presidente Ciampi lo nominò
senatore a vita. Alla sua morte, appena un anno dopo, ricevette l’ossequio di
molti, personaggi di rilievo e gente qualunque.
Non aveva mai smarrito l’umiltà
d’animo e la modestia, con le quali fu sempre disponibile al dialogo, ricevendo
spesso, anche negli ultimi anni di vita, studenti interessati al suo lavoro e
al suo pensiero, e accettando con loro un confronto intenso.
Gli studiosi lo
indicano come espressione della famiglia degli ermetici, anzi il più alto
rappresentante dell’ermetismo fiorentino, perché la sua poesia appare a molti
«ermeticamente chiusa».
Il verso suo,
così rivestito di tristezza e di inquietudine, quasi disincantato, è, in
profondità, fondamentalmente difficile, appunto ermetico. Lo è per l’uso
continuo di immagini simboliche, associate tra loro, intervallate dalla
sonorità di parole mai casuali, con una sequenza che stupisce sempre.
La lirica
moderna di Luzi recupera forme del romanticismo visionario in cui ricorrono le
immagini dei paesaggi lunari, delle città spettrali, con i marmi e le pietre
preziose, ma anche degli ambienti quotidiani, e dei paesaggi esotici.
In componimenti come «La sera non è più la
tua canzone», il verso diventa esperienza dell’esistenza, una creazione
letteraria oscillante tra dolore e speranza, nella ricerca, percepita come vana
ed effimera, del frammento di vita perduto e smarrito.
Il senso
sfuggente del tempo domina la poesia e si connota innanzi tutto della
percezione della perdita dei tratti della personalità. Il passare del tempo non
provoca solo effetti estetici, mutando l’immagine corporea e le sembianze
umane, ma crea un senso di doloroso smarrimento dell’interiorità stessa.
Nel confronto
tra identità e mutamento, l’incerta speranza del poeta scruta l’essenza del
passato e il suo problematico divenire inseguendo il miraggio di una
ricomposizione dell’esistenza e della sua impossibile armonia.
La ricerca del
sé pervade questa poesia scrutando i momenti trascorsi e i confini del nuovo e
soprattutto enuncia gli esiti del tempo, che provocano sorprese inquietanti
(appunto la sera non è più la tua
canzone).
Ma ambisce anche a ritrovare l’autenticità del proprio essere, le
radici vere dell’esistenza, un recupero del proprio io, una saldatura tra
apparenza e sostanza, pur nel tempo che muta inesorabile, in modo da poter dire
di aver percepito l’altro nella sua vera identità: «Sei scesa in questa pura
sostanza così tua».
Il senso di
precarietà e di incertezza nella vita quotidiana ma anche la convinzione di una
conoscenza profonda delle cose e delle persone furono rappresentati da Luzi in
modo esemplare quando scrisse: «È incredibile ch'io ti cerchi in questo o in
altro luogo della terra dove è molto se possiamo conoscerci. Ma è ancora
un'età, la mia, che s'aspetta dagli altri quello che è in noi oppure non esiste» (da Aprile-amore, in Primizie del
deserto).