di
Roberto Benigni
(Commento di Angelo Perrone)
(ap) Attilio De Giovanni è lo stralunato docente di letteratura italiana,
impersonato da Roberto Benigni, che in una celebre sequenza del film La tigre e
la neve (2005) si lancia, davanti ad una platea di alunni prima sorpresi e poi
entusiasti, in un sorprendente elogio della poesia, dell’amore, del
coraggio.
Con immagini visionarie e intuizioni comiche, il docente cerca di
trasmettere ai ragazzi la sua passione per la poesia. Come gioia dell’animo e
persino come progetto di vita in un mondo dilaniato da conflitti ed odi.
Eppure,
questa insolita lezione dai toni ironici e affabulatori non contiene solo una
appassionata descrizione della potenza dell’amore (nei rapporti individuali) e
della durevole forza dell’ottimismo (in quelli sociali e politici).
Essa
racconta l’incredibile inseguimento di un sogno a più volti, animato dalla
passione per l’arte poetica (sono evocati Montale, Ungaretti, Yourcenar,
Borges), e nello stesso tempo dalla ricerca della donna della propria vita,
rappresentata da Vittoria, una critica letteraria, insieme oggetto di desiderio
e fonte di ispirazione intellettuale, continuamente presente nel proprio
immaginario notturno.
Una
passione umana destinata a rimanere nella dimensione dell’impossibile e
incrociare una cocente delusione? Forse proprio no. Non si deve dubitare troppo
della potenza della poesia e di quella dell’amore neanche di fronte a
difficoltà insormontabili.
Vittoria
aveva promesso di sposare il docente innamorato quando avesse visto una tigre
camminare nelle vie di Roma sotto la neve? Nulla alla fine è davvero
impossibile e mille sono le risorse della realtà ispirata dall’amore.
Allora,
non è solo una coincidenza fortunosa se degli animali feroci, scappando dallo
zoo, fuggono per le strade affollate di Roma e se, contemporaneamente, il polline
cade dai gelsomini lungo i viali alberati della città dando l’impressione che
formi dei silenziosi fiocchi di neve.
(Roberto Benigni) Su,
su, svelti, veloci, piano, con calma, non vi affrettate.
Non scrivete subito
poesie d’amore che sono le più difficili, aspettate almeno un’ottantina di
anni.
Scrivete su un altro argomento, che ne so… sul mare, vento, un
termosifone, un tram in ritardo.
Non esiste una cosa più poetica di un’altra.
La poesia non è fuori, è dentro.
Cos’è la poesia? Non chiedermelo più, guardati
allo specchio, la poesia sei tu.
Vestitele bene le poesie.
Cercate bene le
parole, dovete sceglierle.
A volte ci vogliono otto mesi per trovare una
parola.
Scegliete, perché la bellezza è cominciata quando qualcuno ha
cominciato a scegliere, da Adamo ed Eva. Lo sapete quanto c’ha messo Eva prima
di scegliere la foglia di fico giusta? Ha sfogliato tutti i fichi del paradiso
terrestre.
Innamoratevi.
Se
non vi innamorate è tutto morto.
Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo, si
muove tutto.
Dilapidate la gioia, sperperate l’allegria.
Siate tristi e
taciturni con l’esuberanza.
Fate soffiare in faccia alla gente la felicità. Per
trasmettere la felicità, bisogna essere felici e per trasmettere il dolore
bisogna essere felici.
Siate felici.
Dovete patire, stare male,
soffrire.
Non abbiate paura a soffrire. Tutto il mondo soffre.
E se non vi
riesce, non avete i mezzi, non vi preoccupate, tanto per fare poesia una sola
cosa è necessaria: tutto.
E non cercate la novità. La novità è la cosa più
vecchia che ci sia.
E se il verso non vi viene da questa posizione, da questa,
da così, buttatevi in terra, mettetevi così.
E’ da distesi che si vede il
cielo. Guarda che bellezza, perchè non mi ci sono messo prima?!
Cosa guardate?
I poeti non guardano, vedono.
Fatevi obbedire dalle parole.
Se la parola è
“muro” e “muro” non vi dà retta, non usatela più per otto anni, così
impara!
Questa è la bellezza come quei versi là che voglio che rimangano
scritti lì per sempre..
Forza, cancellate.