Sulle orme di grandi poeti come Fernando Pessoa e
Josè Saramago, il fascino segreto di Lisbona. A passeggio nei vecchi quartieri
del Baixa, del Chiado e dell’Alfama, con il sottofondo delle note struggenti
del Fado e il profumo di mare e sardine fritte. Le sponde del fiume Tago e la
vista dell’oceano, mentre il vento fa sospirare: il sentimento strano della
“saudade”
(ap) Girava
senza meta per le strade, fermandosi agli angoli dei vicoli, raccogliendo idee,
più raramente prendendo appunti: semplicemente respirava a pieni polmoni
quell’atmosfera speciale. Si intuisce il modo di trascorrere le giornate di
Fernando Pessoa, leggendo le parole del suo scrivano, Bernardo Soares, che, per
rendere l’idea, ha intitolato Diario
dell’inquietudine la strana mescolanza di finzione e realtà che gli è servita
per raccontarne la storia e il suo perenne girovagare in città.
L’uomo, a Lisbona, lo si poteva incontrare ovunque da quelle
parti, dalla Baixa al Chiado. Ma era soprattutto nel reticolo stretto
dell’Alfama che imbattersi in lui doveva essere facile. Avvicinarlo con una
scusa, chiedergli un’informazione fingendo di non riconoscerlo, con la speranza
che, anche solo per un piccolo tratto, facesse da guida. Questo, il progetto molto
alettante.
Il pericolo era che, essendo così appartato e discreto, si smarrisse
tra tutta quella gente, turisti o lisbonesi, che la mattina riempie le strade
strette o i piccoli tram gialli. Ma lui era inconfondibile, sempre uguale a sé
stesso. Esile e svelto, vestito di nero con il cappello dall’ampia falda sulla
fronte, i baffetti ben curati: e gli occhialini di metallo a far risaltare
ancora di più lo sguardo, insieme dolce e curioso. Uno strano intreccio di
malinconia e attenzione.
Meglio essere pronti: poteva accadere già alle prime luci del
giorno di vederlo all’improvviso, quando il sole comincia a riflettersi sulle
ceramiche colorate che adornano le vecchie case del centro. E’ allora che i
dettagli più sfuggenti della città tornano a brillare. E a sorprendere.
Una miriade di colori che, ricordava appunto Fernando Pessoa attraverso
il fedele Soares, non si trova l’eguale nella campagna o nella natura. Possibile?
Neppure i fiori possono gareggiare con quel magico cromatismo che si vede
ovunque? In effetti già il tepore dei primi raggi trasmette serenità e
disincanto. Quando il sole è più alto, la luce sa infondere un senso speciale
di tranquillità. E rende maestosa l’irregolarità delle viuzze cittadine.
Si è portati a dimenticare, trascorrendovi le giornate, che i
sette colli su cui Lisbona è costruita si tuffano nel fiume Toga, e sono
esposti al vento dell’oceano. Una città sull’acqua, tra fiume e mare, quasi da
ogni parte. Destinata in ragione della posizione ad accogliere gente dedita
alle scoperte e pronta sempre a muoversi. Ma non così oggi, e sicuramente
allora, quando a percorrere le stradine dei quartieri più vecchi era proprio
lui, l’omino sempre vestito di nero, come lo ritraggono foto e disegni in ogni
angolo della città.
Solo la memoria conferma che un tempo la vocazione del luogo doveva
essere altra. I suoi abitanti si sono sempre spinti verso altre mete, assai
distanti, fossero in America del sud o in Oriente, sospinti da uno spirito di
esplorazione e commercio, piuttosto che da ragioni di conquista. Posta sul
lembo più occidentale d’Europa, troppo in là si direbbe per trovare una ragione
d’essere nell’entroterra continentale, la posizione la portava a guardare
sempre altrove, ancora più ad ovest.
Non è la fine dell’espansionismo coloniale a dar corpo a un
diverso sentire. Semmai lo fa risaltare ancora di più. E’ sempre stato presente
il sentimento di lontananza e distacco, nostalgia e separazione. Un dolore
certo, ma latente, non acuto, quasi stratificato e allontanato da sé, persino
elaborato e trasformato in altro. Un sottofondo che proietta altrove. E che
accompagna ognuno, come le note struggenti del fado.
Mentre si passeggia per le vie, quella musica accoglie il visitatore:
proviene dalle porte aperte dei locali e dalle finestre delle case, mentre
musicisti di strada improvvisano brevi suonate o cantano le loro canzoni. L’atmosfera,
al chiaro di luna, si permea di nostalgia e struggimento, ma è difficile
trovare le parole giuste per raccontarla: si finisce per indicare il sentimento
dei portoghesi con il termine di “saudade”. Dai molti significati.
Accade la magia per cui il sorriso triste dell’anima è capace di
rendere vivi, piuttosto che destare frustrazione o sconcerto; non contano
soltanto i ricordi e la nostalgia del passato, che pure sono presenti, ma un
sentimento più complesso e pieno di sfumature. Sorprende, ma accade. Del resto
è possibile che le nuvole più fitte si aprano improvvisamente all’azzurro, e la
brezza marina possa essere lieve e delicata.
A dispetto del traffico e dei rumori di una città moderna, sembra
di avvertire in giro una tranquillità sorprendente, persino rasserenante.
Forse, a segnare lo stato d’animo, non conta soltanto il ricordo di ciò che si
è perso o non si è proprio vissuto, ma lo struggimento per quanto dovrà ancora
accadere: non sappiamo se sapremo coglierlo o se ci sfuggirà.
Tutto, nelle viuzze cittadine, ricche degli odori di baccalà alla
brace e di sardine fritte e animate da canti di strada, nelle architetture
antiche, negli edifici ricostruiti dopo il terremoto del 1755, racconta il
passato. Ma molte cose sembrano anche spingere verso il futuro, in cui tutto potrà
accadere. Non sappiamo prevederlo però, né possiamo dire quello che ci
sfuggirà.
Impossibile non avvertire, su questo stato d’animo, la suggestione
del mare, di quella dimensione naturale così estesa ed avvolgente su cui la
terra affaccia. Anche la vita quotidiana sembra proiettata verso l’avventura, di
cui il mare è simbolo. Serve a ricordare che un nuovo viaggio attende ciascuno
ancora oggi, come già era accaduto per uomini e donne di un tempo. Magari
diverso per natura e destinazioni, ma sempre incerto e affascinante. I ricordi ricorrenti
del passato diventano sfuocati, perché attraversati da una nostalgia diversa,
che guarda verso il futuro.
Cambia l’oggetto del sentimento: non più il passato ormai concluso,
ma il divenire che deve accadere. Si può viverlo come attesa certo, ma qui è
percepito come assenza e forse smarrimento. Matura lo struggimento per ciò che
deve ancora succedere, e non si sa se ci sarà concesso vivere o ci sfuggirà per
sempre. Sarà forse di fantasia, come temeva Josè Saramago, il sospiro costante
rivolto verso il futuro, che porta con sé timori e speranze. Ma non c’è luogo
dell’anima che sia, come questo sentimento rivolto al domani, più saldo e
radicato nel cuore.
(Lisbona, dicembre 2019 - foto ap)