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Il dio della malinconia

di Marina Zinzani

(Angelo Perrone) Cosa rimane degli “altri dei”? La vetta del monte Olimpo era spesso coperta di neve e nuvole spesse coprivano la punta, rendendola invisibile agli umani. Il luogo ideale dove, secondo la mitologia greca, collocare la dimora degli dei.
Lì essi governavano le cose del mondo. Il loro volere era mutevole ed incostante, bizzoso e magnanime, scontroso e amorevole. Ciascuno incarnava un sentimento o un’idea, un vizio oppure una nobile speranza. Qualcosa ben conosciuto nel mondo umano sottostante, ma espresso in altro modo con un valore simbolico.
Smentito il mito “divino” dell’Olimpo, è rimasto il mondo, travagliato e altrettanto insondabile, dell’animo umano. I suoi risvolti – dismesse le vesti degli antichi “dei” - sono al centro delle pagine dell’autrice dei testi qui pubblicati.
Dopo “Il dio della verità”, “Il dio delle passioni”, “Il dio della guarigione”, "Il dio della speranza", “Il dio della nostalgia”, “Il dio dell’invidia”, “Il dio della rinuncia”, “Il dio della fortuna”, “Il dio del successo”, “Il dio della sottomissione”, “Il dio del rimpianto”, “Il dio del sospetto”, “Il dio della solitudine”, ecco “Il dio della malinconia”.

Il dio della malinconia non viaggia mai solo, ha sempre una borsa di stoffa colorata in cui ci sono oggetti, foto, cose che rappresentano dei momenti ben precisi. Non solo la borsa lo accompagna, ma anche una straordinaria capacità di ricordare momenti, situazioni, luoghi, è come se li evocasse facendoli sentire presenti.
E’ un dio debole, che non riesce a reagire al tempo che si è logorato, ai rapporti con gli altri dei che sono stati compromessi. Non è proiettato nel futuro, vede il presente e ricorda il passato, in una sorta di rilassamento in una delicata tristezza.
Il dio della nostalgia e quello del disincanto lo accompagnano, e spesso parlano fra di loro di quello che è accaduto tanto tempo prima, affiorano ricordi, qualcuno sorride, un altro si commuove. Restano ancorati a qualcosa che non c’è più, e anche la quotidianità è vista come un’evoluzione triste di albe e di amori.
Va spesso in mezzo agli uomini, va dagli anziani, accompagnandoli nel loro ultimo tratto di vita, e allora la sua borsa piena di oggetti e di foto, e anche di profumi, gli serve, estrae qualcosa che evoca dei ricordi di qualcosa che non c’è più. E’ un dono che fa a loro, ma diventa un dono triste, perché il suo essere prigioniero del passato influenza anche questi esseri deboli che non sentono più il futuro. 
Visita spesso i poeti, che vedono di più degli altri uomini. Racconta loro storie di tormenti, di delicate rese al tempo e alle battaglie. Quando se ne va, loro prendono una penna e scrivono, cose che sembrano provenire da un altro mondo, dal mondo degli dei.

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