
di Marina Zinzani
Una notizia che appare assurda e che rattrista: un’errata diagnosi medica, una persona che a causa di questo va in depressione, poi l’evento incredibile: c’era un errore, la patologia non era affatto grave. Ma il paziente, provato da anni di sofferenze, si suicida. Non c’è stato l’happy end, il sospiro di sollievo, c’è stata la beffa. Tutto era finito ma lui non ce l’ha fatta.
E non ce l’aveva fatta neanche la ragazzina vittima di bullismo, di cattiverie gratuite dalle compagne di scuola, che l’aveva molto provata. I genitori le avevano cambiato scuola, e in effetti il nuovo ambiente in cui era approdata era migliore. Eppure qualcosa di terribile aveva continuato a lavorarle dentro, pur lontana ora da quell’ambiente di bulle. E un giorno quella ragazzina ha deciso di farla finita.
L’uomo che proviene da un luogo di guerra, o da un lager, che ha visto cose inenarrabili: sì, torna a casa, finalmente. È tutto alle sue spalle. No, è tutto dentro il suo cuore, la sua mente. Arriva ad ondate a volte, quel malessere a cui è difficile dare un nome. Sindrome post-traumatica da stress? Impossibilità a dimenticare? Una ferita che non riesce a rimarginarsi? Una ferita in grado di dare il La ad una subdola depressione, a un malessere taciuto, depressione che riesce a dominare e a distruggere ogni cosa.
Essere al sicuro, in un altro ambiente o situazione, lontano da ciò che faceva male. Essere in cima alla collina, finalmente, pensare di avercela fatta. Un cammino lungo, faticoso, una meta tanto anelata. No, incredibilmente, non si riesce a provare serenità perché è finita. Il male è ancora lì, incuneato, subdolo.
La guarigione è fatta di piccole cose, anche misteriose. Il vedere la fine di un periodo orrendo non equivale a riprendere una buona vita. Si esce cambiati a volte, più fragili, chiusi al mondo e alle possibilità.
I caduti in guerra, anche quella quotidiana, non fanno notizia. Celano il loro malessere e non sempre trovano la strada per uscire dal loro labirinto. Ci vogliono armi magiche per aiutarli. La vicinanza di qualcuno, l’ascolto profondo, l’empatia, lo sguardo di chi sa e può anche tacere, ma prova amore.
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