Essere in vacanza, in un hotel, ed essere svegliati alle quattro del mattino da giovani che ridono, urlano, parlano a voce alta sotto le camere, svegliando i clienti.
Essere nella propria casa, in un quartiere in voga di una grande città, e non riuscire a dormire dal chiasso che arriva dalla strada.
Il vociare dei giovani che affollano i locali, i loro schiamazzi che durano tutta la notte, la musica ad alto volume, il lasciare marciapiedi pieni di bottiglie.
La gente che abita sopra quei locali non riesce a dormire, e deve alzarsi alle cinque, alle sei del mattino dopo. Non è solo una notte, non è solo il sabato sera che, si sa, richiama più gente. È così tante sere, tante notti. E c’è anche da aver paura a protestare.
Essere in vacanza e non riuscire a riposare, essere in casa e dover chiudere le finestre anche d’estate perché non si riesce a dormire, ma non si dorme neanche con le finestre chiuse, pone il quesito sulla libertà di divertimento. Dove inizia e dove finisce.
Il diritto di vivere la movida, perché si è giovani, perché lì, in certi posti alla moda, si incontrano gli amici, perché la notte sembra infinita e tutto è permesso, si contrappone con il diritto degli altri. Il concetto di “altri” si dimentica, non si considera. Gli “altri” chi sono? Gente che protesta, che vorrebbe riposare. Ma chi se ne frega, pensa qualcuno.
Quegli “altri” sono persone, che vedono leso il loro diritto alla tranquillità, trovandosi a vivere in un ambiente, il loro quartiere, che è diventato invivibile. O vedendosi compromessi quei pochi giorni in un hotel, in una vacanza tanto attesa. Questi “altri”, a quanto pare, devono solo subire, e si vedono condizionata la quotidianità, la qualità della vita. Vedono privarsi del diritto al sonno, al riposo.
Il diritto degli altri è dimenticato, non fa notizia. Rimane la rabbia, trasformata ormai in sconforto e rassegnazione.
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