di Liana Monti
Un romanzo intenso, una storia dai molteplici risvolti, un dramma.
Osservando il racconto, analizzando i vari personaggi che popolano la vicenda, ci si accorge che uno strano inspiegabile mistero, un alone di nebbia avvolge gli eventi.
Il protagonista principale, Joseph K., si trova improvvisamente in una situazione complicata, capitata di punto in bianco, il giorno del suo trentesimo compleanno e si concluderà esattamente un anno dopo.
Egli è un importante funzionario di banca, un uomo normale, con un lavoro rispettabile, che abita in una camera in affitto. Quel giorno si sveglia e scopre di essere in stato di arresto.
Inutili tutti i suoi tentativi di indagare, di scoprire, di difendersi. Rivolge domande precise ai vari interlocutori, ma le risposte che riceve sono confuse o gli vengono nascoste.
La sua vita da quel momento viene messa sotto sopra in un percorso che lo conduce verso un processo mai avvenuto, tenuto da un giudice mai presentatogli, per un’accusa mai comunicatagli, con una sentenza mai pronunciatagli, una condanna mai comunicatagli ma eseguita.
Si avvicendano personaggi di ogni genere e mestiere, quasi tutti stranamente al corrente del fatto che lui sia sotto accusa, a conoscenza di alcuni dettagli e quasi tutti in qualche modo legati al tribunale. Così le informazioni che dovrebbero essere riservate in quanto relative ad un procedimento ufficiale a suo carico e in quanto tale coperte da segretezza, sono in realtà, solo a tratti, note a tutti questi personaggi, tranne lui che è l’imputato.
“Qualcuno doveva avere diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.”
Così l’avvocato, i funzionari, le autorità, gli incaricati, i commessi, il pittore, le ragazze, il commerciante, il sagrestano, il custode, il cappellano. Ognuno di questi si relaziona con lui, ognuno sa qualcosa, ma non sono autorizzati a parlare, gli danno indicazioni sommarie, suggerimenti, oppure ordini precisi, ma parziali.
Altri personaggi popolano la storia. Lo zio che cercherà di aiutarlo ma dal quale poi si allontana. Leni, assistente dell’avvocato, ma dagli atteggiamenti decisamente ambigui. La signora Grubach e la signorina Bürstner che abitano nelle stanze vicine alla sua ma che da lui si tengono a distanza. Il bastonatore, che ha l’incarico di punire i due ufficiali che inizialmente gli hanno comunicato il suo stato di arresto e della cui condotta il sig. K. si era lamentato. Il direttore e il vicedirettore, che sembrano aiutarlo nello svolgimento delle sue mansioni in banca, ma che in realtà scopre nel tentativo di spiare di nascosto il suo operato.
Alcuni imputati vengono incontrati lungo i corridoi dei vari edifici dei tribunali. Con questi avrà brevi dialoghi e ciò che più lo sbalordisce e avvilisce è la loro lunga attesa di informazioni nella rassegnazione che nel loro caso la procedura per il processo è lunga e sta durando anche da qualche anno.
I giudici rimangono figure quasi mitologiche che non conoscerà mai di persona, ma vedrà solo rappresentati nei quadri appesi alle pareti di alcuni luoghi e la cui immagine fa rabbrividire in quanto a severità in nome di una legge che solo i più dotti sono autorizzati a conoscere.
Così come fa rabbrividire la conclusione finale in cui i due esecutori, dopo averlo portano a sera inoltrata, in una cava di pietra abbandonata e desolata, “Osservano la conclusione.
Come un cane!, disse. Era come se la vergogna gli dovesse sopravvivere.”
C’è da chiedersi quale terribile dramma abbia dovuto sopportare l’autore nella sua vita reale per arrivare a concepire una situazione così surreale, in cui descrive con grande ricchezza di dettagli i comportamenti severi e strani, gli atteggiamenti a volte bizzarri ed equivoci dei vari protagonisti di una storia profondamente drammatica e mozzafiato.
Lo stato d’animo del protagonista passa dall’incredulità iniziale, dal tentativo di ritenere assurda tutta la vicenda e cercare di ignorarla come se non esistesse. Passando poi alla consapevolezza che purtroppo non poteva sottrarsi al proseguire degli eventi e disperatamente cercare una difesa sia da solo, sia con l’aiuto del suo avvocato fino a poi revocargli l’incarico perché resosi conto che una vera difesa “non è ammessa, solo tollerata”.
Questo forse perché dal momento che “qualcuno” decide che una colpa esiste, allora niente e nessuno può più farci niente. Non c’è il diritto di portare le proprie scuse, né difesa, né tentativo di rimediare, nemmeno una detenzione in carcere. Nemmeno il diritto di conoscere quale sia questa colpa.
Pertanto non resta che arrendersi, smettere di lottare e attendere senza fiatare l’inesorabilità della fine.
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