Un ballo in maschera (Teatro regio Torino) |
di Marina Zinzani
“Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere.
In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita.
(...) Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare.” (Marguerite Yourcenar)
Le parole di Marguerite Yourcenar appaiono coraggiose e quasi violente, pur nella delicatezza della mano, quella mano che ci ha donato un capolavoro come “Memorie di Adriano”.
Si deve fare uno sforzo di immaginazione per entrare dentro il suo concetto, la sua constatazione, che sa di viaggio in una realtà dolce e amara: c’è un momento in cui si è liberi, c’è un prima e un dopo, all’inizio e verso la fine della vita.
O meglio, si è liberi durante l’infanzia, quando si vive in un mondo di fantasia e di pochi obblighi, ed anche dopo, abbandonato il lavoro ed entrati in pensione, si può assaporare una forma di libertà.
C’è qualcosa di tragico nella definizione di “ballo mascherato” della Yourcenar, un ballo in maschera nell’intervallo fra l’infanzia e la vecchiaia. È una constatazione amara. Può essere la vita di tutti: una maschera che si indossa, per svolgere la propria funzione nella società, per lavorare, guadagnare, costruire qualcosa.
Non è pienamente condivisibile: in quegli anni di “ballo mascherato” c’è anche il mondo che uno si crea, una famiglia, dei figli, un obiettivo. Non tutto è negativo, anzi.
Perché allora sentiamo che c’è una punta di verità in quelle parole, “l’intervallo che sembra un vano tumulto”? Perché la corsa, che parte da lontano, dai banchi di scuola, ed ha attraversato ansie, aspettative, ed ha incontrato il mondo del lavoro e conosciuto la fatica di crescere una famiglia, se ci si guarda indietro appare una corsa in cui si è perduto qualcosa.
Si è vissuto poco, soprattutto si è pensato poco a sé stessi, al proprio benessere. Ci sono state migliaia di stagioni che ci sono passate davanti, e non si è ammirato un fiore, osservato un albero, si è dimenticato il profumo di una viola.
L’anziano guarda il tempo ora a disposizione, e dalla sua capacità di farne una seconda vita può dipendere il suo stato, negli anni a venire. Può trovare il piacere di parlare con qualcuno senza guardare l’orologio, di occuparsi del proprio corpo, di dedicarsi ad un hobby.
Può fare qualcosa per riparare quegli anni volati via troppo in fretta, in una sorta di considerazione dolce e amara, da una parte la libertà ritrovata, da una parte il tempo che passa. Ma ogni giorno, in fondo, può essere prezioso e può regalare qualcosa.
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