(ap)
Non solo Milano, ma il paese intero ha saputo riscoprire le virtù civili del
silenzio, dello sgomento, della riprovazione e della solidarietà. Facendo
proprie le parole di una madre di fronte all’assassinio del figlio, colpevole
di non essere stato nella professione di avvocato una marionetta alla mercé del
singolo, e di essersi fatto guidare solo dalla sua testa.
Non
era mai successo in un tribunale, si dice. Dimentichi di quanto accaduto negli
ultimi tempi in diverse sedi giudiziarie: giudici minacciati, parti aggredite,
vittime oltraggiate. Una amnesia colpevole, mentre tensioni individuali,
frustrazioni, attese e lungaggini si scaricano sulla fragile cittadella della
giustizia. Che non è e non vuole sentirsi assediata. Ma che è fragile ogni
giorno di più, martoriata dagli tagli, dalle mancanze di risorse, e ancor più
dalla cavalcata dei poteri e dalla tracotanza dei singoli, attenti al proprio
tornaconto personale e insofferenti verso le regole e la pratica della buona
giustizia.
I fiori lasciati da mani ignote davanti alla stanza di quel giudice stanno ad indicare che forse è possibile fermare il declino, prendere coscienza del baratro, non farsi travolgere dall’indifferenza. Tornare ad apprezzare il rispetto della legalità, non lasciando soli gli uomini che lavorano per essa.
I fiori lasciati da mani ignote davanti alla stanza di quel giudice stanno ad indicare che forse è possibile fermare il declino, prendere coscienza del baratro, non farsi travolgere dall’indifferenza. Tornare ad apprezzare il rispetto della legalità, non lasciando soli gli uomini che lavorano per essa.
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