di
Paolo Brondi
Era
una giornata di fine aprile e le aule del tribunale di Milano apparivano inondate
di luce quando Luisa, indossata la toga sopra un tailleur grigio dal taglio
impeccabile, avanzava, con passo lieve, ma deciso, verso l’aula penale n. 6.
Ad un tratto il cuore le balzò in petto e impallidì: dalla parte opposta del corridoio e in prossimità della stessa aula procedeva un giovane avvocato, anche lui con toga sopra un vestito fumè, di lana leggera, camicia di un tenue azzurro, cravatta blu con pallini rossi, tutto assorto nei suoi pensieri e a capo chino.
Ad un tratto il cuore le balzò in petto e impallidì: dalla parte opposta del corridoio e in prossimità della stessa aula procedeva un giovane avvocato, anche lui con toga sopra un vestito fumè, di lana leggera, camicia di un tenue azzurro, cravatta blu con pallini rossi, tutto assorto nei suoi pensieri e a capo chino.
”Dio
mio. È lui… proprio lui - mormorò Luisa, con gli occhi umidi, - Silvì. Il mio
Silvì.”. Finalmente lui alzò la testa, la vide e il suo viso si illuminò:
“Luisa… sei proprio tu…?”. “Sì. Sono qui. Siamo di nuovo insieme.” E le toghe
divennero una sola… maschera provvisoria di due giovani felici.
Poi
entrarono in aula e si trovarono a condurre un’opposta difesa. Lui difendeva la
famiglia dello studente lavoratore, Andrea Turrisi,
selvaggiamente ucciso da cinque giovani neofascisti. Già individuati dagli
inquirenti responsabili della uccisione dello studente. “Signor giudice -
diceva nella sua arringa - il culto della violenza non risparmia nulla e
nessuno. I cinque giovani neofascisti, noti picchiatori sambabilini, non hanno
avuto pietà nel togliere la vita al figlio unico di due poveri genitori… un
giovane come loro, ma ben più degno per una vita spesa tra studio e lavoro… Hanno
avuto il coraggio di uccidere… abbiano ora il coraggio di affrontare la pena
che meritano senza ombra di dubbio e che dovrà essere estremamente severa.
Perversa è l’ideologia neofascista che in questi giovani preclude la
distinzione fra il bene e il male, l’onesto e il turpe, l’utile e l’inutile,
l’aequo e l’iniquo, e si risolve in pura ed efferata violenza”.
Luisa lo ascoltava piena di ammirazione.
Dopo dieci lunghi anni lo ritrovava uomo, sicuro di sé, dalla voce chiara e
virile, misurato nel gesto, alto e bello…ancora più bello. E un’ondata d’amore
tornava a farla rabbrividire…
”Avvocato Bianchi… tocca a lei!”. La voce
perentoria del giudice la svegliò dal nuovo incanto e si riscosse “Subito,
signor giudice. Io difendo i cinque giovani e non cercherò di provare la loro
estraneità rispetto al delitto, ma spiegherò le motivazioni che hanno orientato
i loro atti. Ci sono testimonianze che i cinque erano comunemente dediti alla
droga e drogati lo erano all’atto dell’uccisione del giovane Turrisi. La droga
è presente nei circoli neri e spinge alla ferocia politica. Sono giovani che non
sanno come uscire dal tunnel della degradazione. Hanno creduto di trovare la
via attraverso la frequenza dei circoli neri, ma sono divenuti facile strumento
della distruzione dei nemici. Per questo chiedo clemenza, non il massimo della
pena, ma un giudizio aequo e giusto”.
Mentre Luisa parlava, passavano nella
mente di Silvì, ora avvocato Silvano Lenzi, frammenti di immagini di lei
adolescente, eventi, quasi annegati nell’oblio, che ora si ricomponevano, rivivevano,
in una figura di donna, sicura, bella, professionalmente esperta ed
estremamente femminile.
Il processo terminò con la condanna dei
cinque neofascisti non al massimo della pena, ma a diciotto anni. I due avvocati
difensori uscirono dal tribunale mentre scoccava mezzogiorno. Si
complimentarono a vicenda e giunti ad un angolo discreto lei gli gettò le
braccia al collo e lo strinse a sé. “Luisa… Luisa… finalmente… dopo tanti
anni.”. “Oh, Silvì, ci siamo ritrovati...non riesco più a pensare a niente. Sono
felice di essere qui tra le tue braccia”, lui la guardò intensamente, sorrise.
La baciò e la strinse come temesse di perderla ancora. Poi, mano nella mano, si
avviarono verso la piazza del Duomo.
La gente che restava ammirata dall’aureola
di gioia che circondava quella così bella coppia certo non sapeva quanto
difficili e tristi rapporti umani avevano segnato l’esistenza dei due giovani.
Ma il difficile fa parte dell’esistenza che è divenire. In cui attimo e
eternità si confondono, dolore e felicità sono incatenati, intrecciati e chi
sperimenta tale dinamica, se riesce a comprenderla e reggere a fondo, può
conquistare una sorta di levità che non è leggerezza o superficialità ma
diventa dono da irradiare agli altri.
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